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Gratteri denudata: un’allegoria del cattivo governo del 1876
“Gratteri! Chi non conosce storia e imprese
Di questo sfortunato Bel Paese?
Ma per tornarci su con la memoria,
non fa poi male riveder la Storia.
Storia verace di cervelli fini
di scrittori, poeti e scribacchini,
di dissacrate malelingue d’alto ingegno
e gente onesta del Pietroso Regno!
Signori, zotici ed alfieri,
questo è il miscuglio avito di Gratteri.
Albero di Scienza! nominato,
storico patrimonio del passato.
Fatti lontani di tant’anni fa
Al tempo di ricchezze e povertà.
Pagine d’una storia molto oscura,
sulla tragica fine di Monumenti e mura…”
(Pino Grisanti, versi inediti, anno 2001)
Questa è una storia occultata da secoli di un misterioso villaggio delle Madonie chiamato fino a qualche secolo addietro “l’Arvilu di la scienza” (l’albero della conoscenza) – probabilmente in relazione ad episodi che affondano le loro radici in un’epoca lontana – prima che fanatismo religioso e superstiziose credenze incitassero il popolo di Gratteri ad accanirsi su quanto di più prezioso avessero ereditato dai loro stessi antenati.
Stiamo parlando di un’onta che agli inizi del Novecento, si portavano ancora dietro gli abitanti del villaggio madonita, chiamati dalle comunità limitrofe “Crocifissori di Cristo” per aver distrutto, alla fine del secolo XIX – sotto consiglio di un illuminato prelato – il glorioso castello dei Signori Ventimiglia e le mura di una antica fortezza per costuire una nuova Matrice. Pagine di una storia molto oscura fino ad adesso dimenticata. Fino a qualche tempo fa, veniva ancora ricordato un antico aforisma gratterese:
“Gratteri: una calotta sferica, dove sputò il Diavolo e tutto inaridì!” (Pino Grisanti, aforismi gratteresi, 2001).
Ma iniziamo dal principio…
È stata ritrovata di recente – nella casa di un cultore locale – una stampa del 1876, che potrebbe essere considerata oggi un documento importantissimo, per cercare di ricostruire, attraverso le fonti dell’epoca, una triste pagina di storia locale nel nostro secolo poco conosciuta. La stampa – che ha per titolo “Gratteri – L’inaugurazione del monumento al sindaco Notar Vincenzo Ortolano” – costituisce una sorta di allegoria del cattivo governo comunale sull’esempio di quella realizzata nel 1338 da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena.
Ad ogni modo, dalle scritte che vengono riportate sulla carta, sappiamo che essa venne stampata dalla Litografia Visconti e Tipografia Oliveri nell’anno 1876. In alto è possibile anche leggere una dicitura dello stesso Autore:
“Io son coi buoni: non fo lega con gl’iniqui di qualunque colore essi siano, e il mio libero pensiero non renderò giammai schiavo dei voleri altrui”. L’autore 1876.
L’immagine mostra alla sinistra, in posizione elevata, un prelato rappresentato con la testa equina – critica allegorica alla degenerazione del clero – che, mentre con la mano sinistra punta il dito su un insigne monumento, con l’altra tiene un libro aperto che mostra ad un illetterato contadino che cerca inutilmente, utilizzando delle lenti, di decifrarne il contenuto (2000 Paregio – 10000 20000).
Al suo fianco, un altro villano fa cenno al religioso di non avere ben compreso il suo incitamento e, a seguire, un banchetto presieduto da autorità civili e religiose – allegoria della cuccagna e della vita dissoluta – che mangiano e brindano insieme alle spalle degli sciocchi cittadini di Gratteri.
Subito dopo quella tavola imbandita, segue un ciarlatano con un cappello da mago – allegoria della superstizione e del fanatismo – che, sotto consiglio di un’autorità, incita una folla di nobili e villani ad osannare ai piedi di un busto marmoreo. Quest’ultimo – eretto per volontà dei Gratteresi – rappresenta la glorificazione del Sindaco, il vivente Vincenzo Ortolano (1829-1889), che viene incoronato da un angelo con una ghirlanda di rovi.
Alle spalle del monumento è posta l’immagine più pietosa, quella di tre arpie che aggrediscono un povero vecchio denudato che piange e si asciuga le lacrime con un fazzoletto e tiene in mano una pergamena con su scritto: “Gratteri al 1876”. Tale illustrazione vuole rappresentare l’allegoria del Comune di Gratteri spogliato di tutti i suoi averi alla fine del secolo XIX, come si può leggere negli ultimi due versi che accompagnano la sottostante vignetta: “Mi fecero angherie di nuova idea et diviserunt vestimenta mea”.
Mentre infatti, uno dei diavoli viene azzannato da un cane, l’altro ascende al cielo portando con sè la veste dell’afflitto, graffiato a sua volta dal terzo diavolo alato. Sotto questo scenario, viene ritratto un prelato che scorta un povero contadino recante un sacco di grano pignorato.
Segue nella parte centrale, in basso, un altro villano che, per far passare il suo carretto, frusta il suo cavallo tanto da distruggerne le mura. In basso sulla sinistra infine, seduto sopra un rudere, un galantuomo – presumibilmente un latifondista – che con la sua retorica cerca di convincere un ingenuo popolano a porre del pesce in un paniere assolvendolo da un obbligo.
L’illustrazione viene completata da alcune vignette riguardanti i “detti dei personaggi”, che vengono qui di seguito riportate:
Campi: Narra la sacra e profana storia
Che i padri santi gli uomini preclari
Eran famosi per la pappatoria;
tutto finiva in cene e desinari!
Noi facciam buona tavola e buon viso,
E anderemo ridendo in Paradiso.
D’Amore: Di qui non tornano
Polli in cucina.
Servo: Nè le bottiglie
Nella cantina.
D’Amore: Animo amici
Sì, divorate,
Le nostre tasche
Sono impinguate:
E poi…il Sindaco,
Questi minchioni
Sanno provvederci
Di francesconi.
Guarino: Io chisto muorzo
M’agio a magnà,
Alla salute,
Di chillo minnà.
Torelli: Oh, sor dottore accetti un boccone.
Popolo: Osanna, osanna al padre della patria.
E. Dimarco: Gridate, non curate ai polmoni,
R. Lanza: Via, ti dò la metà a due tarì
Ma pensa a mandarmi i migliori…
Farace: Canaglia vi aggiusterò io; ho pieni
poteri e vi graverò di tante spese…
Villico: E la barracca cosi cammina
Sorte meschina, sorte meschina!
V. Bonafede: Venite signori, leggete e stupite;
questo è il bilancio e di qui a 20 anni,
grazie alla gran testa del nostro Sindaco
avremo il pareggio, ed in ciò un po’ di merito
l’ho anch’io.
Gratteri: Mi fecero angherie di nuova idea
“Et diviserunt vestimenta mea”.
L’Autore prende in prestito nella prima strofa una citazione di Giuseppe Giusti, poeta italiano che, nel 1843, si scagliava con arguzia e satira della morale contro il “fasto ignorante di chi tiene tavola aperta, e la turpe servilità degli scrocconi” (Giusti Giuseppe, I brindisi in Versi editi e inediti di Giuseppe Giusti, Firenze, Felice Le Monnier, 1852).
Le altre battute riportate sono adattate alla scena e proferite da personaggi locali o note autorità dell’epoca che, con sottile sarcasmo, beffeggiano il popolo di Gratteri, ingenuamente persuaso dal Sindaco e dalle Autorità ecclesiastiche, a rimpinguare le casse comunali al fine di pareggiare il bilancio, in 20 anni, con sistema di esazione proprio.
In realtà, episodi di frode simili compiuti da parte delle amministrazioni locali, non erano del tutto inconsueti nel Meridione degli anni post Unità. All’indomani dell’Unità d’Italia, il Mezzogiorno presentava infatti ancora una struttura sociale di tipo semifeudale, le cui disastrose conseguenze economiche, sociali, politiche e morali, impedivano, di fatto, la formazione di una borghesia moderna ed illuminata.
Rimanevano, ufficiosamente, sempre i baroni, i sindaci, i prefetti a detenere il potere, il denaro e il prestigio sociale. La popolazione, priva di una reale prospettiva sociale ed economica, continuava ad essere oppressa dal carico fiscale, disprezzata, priva di qualunque diritto ed esclusa dalla vita politica.
E proprio dalle vicende e dai ritardi nei confronti del Mezzogiorno nascerà quel dibattito culturale, ideologico ed economico che prenderà poi il nome di Questione Meridionale (FALCONE FILIPPO, Il dibattito sul Mezzogiorno e il contributo dei siciliani alla Questione Meridionale in Studi Storici Siciliani – Semestrale di ricerche storiche sulla Sicilia – Anno III, Fasc. III, marzo 2016, Carocci Editore).
Dall’inchiesta condotta in Sicilia nel 1876 da L. Franchetti e S. Sonnino sappiamo che il Governo centrale fosse in realtà “impotente a conoscere e reprimere gli abusi nelle amministrazioni locali” (Franchetti Leopoldo, Sidney Sonnino, Relazioni economiche e amministrazioni locali in La Sicilia nel 1876, Vol. I Firenze 1877).
Difatti, anche se l’amministrazione dei Consigli provinciali e comunali veniva sottoposta alla sorveglianza e alla tutela di un Prefetto, quest’ultimo, ad ogni modo, non aveva altro mezzo di conoscere ciò che accadeva nei singoli Comuni, se non attraverso le carte di ufficio e le informazioni delle autorità locali.
Pertanto, spesse volte, lo stesso Prefetto poteva ritrovarsi al buio del vero, sia per le magagne effettuate sotto bilanci di forma inappuntabile, sia per la presentazione da parte degli amministratori comunali di bilanci incomprensibili a causa di errori e confusione.
Questo prassi era frequente, in particolar modo, nei piccoli comuni dove, molto spesso, il sentimento e la cognizione della Legge mancava a tal punto da vedere, in alcuni Municipi, dei sindaci fare eseguire arresti arbitrari per contravvenzione alle leggi sulla tassa del macinato o dei Consigli comunali imporre per conto proprio, una tassa municipale sul macinato (Franchetti Leopoldo, Sidney Sonnino, op. cit.).
In provincia di Palermo accadeva che agli obiettivi prevalentemente commerciali ed affaristici della borghesia delle gabelle (affitti) fondiarie, si contrapponessero quelli del vecchio notabilato tradizionale, interessato ad una gestione prevalentemente indirizzata verso l’esclusivo controllo sociale e politico delle terre comunali (SIRAGUSA MARIO, La borghesia nel cuore del latifondo siciliano tra XIX e XX secolo in Studi Storici Siciliani – Semestrale di ricerche storiche sulla Sicilia – Anno III, Fasc. III, marzo 2016, Carocci Editore).
D’altronde, quando i braccianti o i minatori siciliani si ritrovavano, agli albori del giorno, nelle piazze dei paesi ad aspettare di essere scelti, da parte dei gabellotti, per il lavoro a giornata nelle campagne o nelle miniere, erano ben coscienti che, in quella società feudale, non c’era alcuna possibilità di difendere i propri diritti.
Questo stato di profonda arretratezza, ovviamente, non avrebbe potuto continuare a perpetrarsi se non con l’appoggio politico del padronato meridionale e della classe parlamentare locale ai governi di allora che, da essi, continuava a trarre linfa attraverso clientelismo e corruzione (Falcone Filippo, Il dibattito sul Mezzogiorno e il contributo dei siciliani alla Questione Meridionale in Studi Storici Siciliani – Semestrale di ricerche storiche sulla Sicilia – Anno III, Fasc. III, marzo 2016, Carocci Editore).
Questa realtà era anche quella di Gratteri, paese di tradizione agropastorale, dove la classe dominante in quel periodo, era ancora quella latifondista che veniva considerata interprete dei bisogni dell’intera popolazione, imponendo tasse a proprio piacimento e cercando come giustificazione quella di ottemperare a delle leggi di bilancio. Rispolverando gli archivi anagrafici del Comune di Gratteri, vengono fuori delle significative informazioni riguardanti i personaggi locali citati dall’Autore:
Vincenzo Mario Ortolani (1829-1889), Notaio, figlio di Don Domenico (Dottore in Legge) e Donna Elisabetta Cipolla – fu Sindaco di Gratteri dal 1871 al 1875. La sua abitazione era ubicata in Via San Leonardo e discendeva da una ricca famiglia di possidenti (proprietari del feudo delle terre Comuni, contrade Mancipa e Mannilo). Già il nonno, Don Vincenzo Ortolani (1761-1827) – sposato con donna Giuseppa Di Marco – e lo zio Giacinto Ortolani (1764-1846) furono Sindaci di Gratteri negli anni ‘20 del sec. XIX.
Don Epifanio Di Marco (Notaio, classe 1831, figlio di Don Enrico e Cirincione Donna Serafina) funzionante da Sindaco e Ufficiale dello Stato civile del Comune di Gratteri dal 1859 al 1862. La sua abitazione era ubicata in Corso Piazza (oggi Corso Umberto I).
Don Vincenzo Bonafede (Agrimensore, classe 1824, figlio di m.stro Francesco e di Bonafede Concetta) sposato con donna Antonina Culotta. La sua abitazione era ubicata in Via Puzzarello.
Don Rosario Lanza (Possidente, classe 1837, figlio di Antonio e Di Marco Rosolia) già Sindaco di Gratteri dal 1865 al 1866 e dal 1879 al 1891. La sua abitazione era ubicata in una traversa di Via Castellana, oggi Via Ruggieri, chiamata in suo onore Via Lanza/Salita Orto dal nome dell’orto di famiglia.
Ad ogni modo, per comprendere a pieno le motivazioni che portarono un piccolo centro madonita ad essere menzionato tramite vignette satiriche dai giornali dell’epoca, bisognerebbe soffermarsi in modo particolare su alcune specifiche illustrazioni: il vecchio derubato dei suoi averi (allegoria del Comune); il mago (allegoria della superstizione); il prelato con la testa equina (allegoria del decadimento del clero).
Queste tre figure rinvierebbero ad una triste pagina di storia locale, quella della spoliazione del Comune di Gratteri dei più significativi monumenti del passato e la distruzione del Castello. Nel 1811, venne avviata per volere dell’arciprete Paolo Lapi, la costruzione di una nuova Chiesa Madre pensata per ospitare tutti i fedeli di una comunità in forte crescita demografica.
Per tale motivazione, sotto consiglio dell’arciprete del tempo, vennero completamente smantellati l’antico castello e parte delle mura perimetrale dell’antica roccaforte portando ad una inevitabile distruzione dei quartieri “di la Terra Vecchia”, “di la Porta Grandi” e “di Nostra Donna del Rosario”.
La grandiosa costruzione venne realizzata con il contributo e il sudore di tutti i cittadini, uomini e donne, “viddani e galantuomini” che ogni domenica si riunivano e trasportavano a dorso di muli la pietra occorrente per la costruzione della nuova Matrice. Dopo 30 anni di cantiere la chiesa venne consacrata nel 1854 all’Arcangelo Michele ed ufficialmente completata nell’anno di grazia 1900. Triste sorte toccò anche all’antica Matrice che venne smantellata al fine di traslare gli antichi altari e i suoi valori nella Nuova come riporta la Coroncina delle Sante Spine del 1918:
“La sontuosa custodia in marmo delle Sante Spine venne collocata nell’abside della principesca cappella dei Signori Ventimiglia dentro le mura del proprio castello, ora interamente distrutto e poi nella nostra antica Matrice. Da questa verso il 1873 venne tolta e collocata nella cappella della navata destra dell’attuale Matrice fondata nel 1811 per il grande zelo del Sac. Paolo Lapi, che poi fu il XII parroco di Gratteri” (Coroncina delle Sante Spine, anno 1918).
In tali circostanze, oltre alle mura dell’antico castello, vennero utilizzati come materiale da costruzione anche i ruderi di antiche chiesette come quella di San Leonardo e di Santa Maria del Rosario definitivamente abolita nel 1818 (Scelsi Isidoro, op. cit., pag. 77).
Nell’anno 2001, Pino Grisanti – un appassionato ricercatore di storia locale – prima di morire, raccolse dei significativi versi e degli antichi aneddoti gratteresi che oggi, alla luce di quanto emerso, potrebbero aggiungere ulteriori tasselli a quelle che possono essere considerate delle tristi vicende che portarono “l’arvilu di la scienza” ad essere spoglio dei suoi frutti.
“Solo Gratteri solitario e affranto
Resta di questa terra un gran rimpianto,
per mano di eccelsi Cavalieri (Dell’Apocalisse)
che hanno fatto e disfatto qui a Gratteri,
tutto è stato sconvolto e sfigurato,
l’infelice storia e il suo passato”.
(Pino Grisanti, versi inediti, anno 2001)
Marco Fragale
(Università di Palermo)
Bibliografia:
Archivio di Stato di Palermo – Stato civile della Restaurazione – Gratteri.
Archivio anagrafico del Comune di Gratteri.
FALCONE FILIPPO, Il dibattito sul Mezzogiorno e il contributo dei siciliani alla Questione Meridionale in Studi Storici Siciliani – Semestrale di ricerche storiche sulla Sicilia – Anno III, Fasc. III, marzo 2016, Carocci Editore
FRANCHETTI LEOPOLDO, SIDNEY SONNINO, Relazioni economiche e amministrazioni locali in La Sicilia nel 1876, Vol. I Firenze 1877.
GIUSTI GIUSEPPE, I brindisi in Versi editi e inediti di Giuseppe Giusti, Firenze, Felice Le Monnier, 1852
Scelsi I. Gratteri. Storia, cultura e tradizioni, Palermo 1981 – rist. Cefalù, Tip. Valenziano, 2008.
SCILEPPI Don SANTO, “Cercherò le mie pecore e ne avrò cura”. Vita ecclesiale a Gratteri (PA) – Ed.Tip. Le Madonie, Castelbuono 2009.
SIRAGUSA MARIO, La borghesia nel cuore del latifondo siciliano tra XIX e XX secolo in Studi Storici Siciliani – Semestrale di ricerche storiche sulla Sicilia – Anno III, Fasc. III, marzo 2016, Carocci Editore