Il tuo carrello è attualmente vuoto!
Gratteri delle origini: centro di scambi montani nella Preistoria
Ancor prima dei Romani, dei Greci e dei Fenici, in età preistorica certamente e probabilmente in quella protostorica, tutto il comprensorio degli ultimi contrafforti madoniti, da Isnello a Gratteri, a Lascari fu abitato. Lo dimostrano la Grotta del Fico, per l’età del rame, della Chiusilla, per quella del bronzo, di Isnello, e infine – in maniera inequivocabile – il cosiddetto “ripostiglio” di Gratteri, che oggi viene conservato al Museo Archeologico Regionale Antonio Salinas di Palermo.
Nell’anno 1920, alcuni tagliapietre di Gratteri, durante lo scoppio di una mina nella località Portella e grotta d’Agostaro (denominata localmente “Rutti Brianti”) videro balzar fuori dal monte un certo numero di strumenti di bronzo che si diedero a raccogliere in fretta nascondendoli nelle proprie abitazioni. Con un pronto ed energico intervento si poterono assicurare al Museo di Palermo gli oggetti nascosti.
Questo ripostiglio comprendeva undici pezzi di bronzo: otto asce piatte a contorno trapezoidale di diversa lunghezza (peso complessivo Kg. 2,683); due a occhio con penna incurvata, nella parte del manico (gr. 946 e kg. 1,44) ed un anello con estremità affusolate e accostate fra loro (gr. 117, diam. mm. 69), attribuibili all’epoca di transizione dalla età del bronzo alla prima età del ferro dell’Italia continentale, che corrisponde alla fine del secondo periodo siculo e ai principi del terzo (Atti della Reale Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Palermo – Terza serie, anni 1923-24-25, Vol. XIII, Palermo Scuola Tip. “Boccone del Povero” 1926).
A questo gruppo apparterrebbero anche i ripostigli rinvenuti a Lipari (Messina) Cannatello (Agrigento), Biancavilla (Catania) e Malvagna (Messina), che coprono un arco cronologico classificato con la fase culturale di Cassibile, datata 1000-850 a.C. (Ibidem).
Tuttavia, le asce rinvenute a Gratteri presentano caratteri di particolare arcaicità, quali l’occhio poco o non distinto dalla lama e lo spigolo vivo nella faccia superiore della lama, estranei alle fogge più tarde, ma propri di tipi peninsulari assai caratteristici, come le asce ad occhio con nervatura e tallone crestato e quelle tipo Menaforno e Cuma (Ibidem).
Gli approfondimenti raggiunti in questi anni nello studio dei materiali metallici della penisola Italiana e il riesame di vari depositi rinvenuti nell’isola hanno portato ad interrogarsi sulla provenienza del metallo, mettendo in rapporto l’abbondanza di bronzo attestata dai ripostigli della Sicilia con il manifestarsi della grande industria metallurgica sulle coste della Toscana che caratterizza la fase più antica della civiltà del ferro a Cuma e nella Campania in genere che confermerebbero dei rapporti commerciali tra la Sicilia e l’Etruria marittima fin dalle origini di questa manifestazione di civiltà (Ibidem).
Sul suo significato, dunque, gli archeologi opinano che gli oggetti costituenti la materia dei ripostigli, oltre a servire per i bisogni della vita quotidiana, valessero anche come moneta primitiva metallica, circolante per gli scambi commerciali, qualcosa di simile a “quello che saranno più tardi, quando si incominciò a coniare la moneta, i ripostigli monetari” (Cfr. L.Bernabò Brea, La Sicilia prima dei Greci, Milano 1972, p. 185).
Il sito probabilmente veniva utilizzato come centro di scambi commerciali fra gli insediamenti montani e le aree limitrofe (S. Tusa, L’archeologia, in Il parco delle Madonie, Palermo 1989, p. 178). Pertanto, questa importante testimonianza costituisce la prova più lampante della frequentazione umana di quella zona delle Madonie nella quale in seguito, dopo circa due millenni, sorse il borgo di Gratteri.
Fatte queste osservazioni, l’ipotesi avanzata da alcuni eruditi del passato, come il Passafiume e il Pugliese, è quella che il nome del villaggio di Gratteri possa trarre origine da Kratos o Krastos, antica città sicana della Sicilia occidentale, ancora oggi non ben individuata anche se alcuni studiosi la collocherebbero sulle alture intorno a Castronovo di Sicilia. In effetti, quello Sicano, è un popolo ancora poco indagato nonostante la sua presenza sul suolo siculo sia stata plurimillenaria.
Da un recente studio condotto dal prof. F. Branchina, si evince che “i Sicani privilegiavano siti nelle cui rocce venivano ricavate delle grotte più o meno ampie e delle nicchie; a motivo della presenza di tali cavità si è portati a credere che tali luoghi venissero utilizzati come siti per la sepoltura degli avi e come luoghi di culto.
Tali siti, come ad esempio l’acropoli di Assoro, erano ritenuti luoghi di “ascolto”, a motivo delle forze di attrazione extrasensoriali che li caratterizzano e della spiritualità che suscitano. L’ascolto, così come veniva inteso dai religiosi sicani di svariate migliaia di anni fa, presupponeva un atteggiamento attivo e ricettivo dell’individuo, capace di captare “la voce” immateriale e di trasformarsi, dentro queste acropoli sicane, questi “alti luoghi” tetto della Sicilia, in autentiche antenne umane.
Il fine che si proponevano i Sicani, utilizzando la geometra sacra durante la fondazione delle loro città a forma triangolare, ad esempio, era quello di far sì che nel territorio in questione confluissero particolari forze positive che, in condizioni di normalità, vagassero libere per il cielo (Branchina F., La geometria sacra nella fondazione delle città sicane. L’urlo degli Avi in Mitologia e dintorni).
Ad ogni modo, alla luce di quanto affermato, non pare affatto incongruo sostenere l’esistenza di un antico villaggio in età arcaica nei pressi della rocca di San Vito, adiacente ad una caverna, la Grotta Grattara, che, per la sua conformazione e peculiarità, avrebbe potuto essere considerata senza alcun dubbio un luogo di culto se non finanche sede oracolare, vista la presenza di una leggendaria entità femminile, A Vecchia, tramandata fino ai giorni nostri.