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Le luminarie di San Giuseppe
Le luminarie
La prima ricorrenza che apre il ricco calendario festivo gratterese, cade il 19 marzo, ed è quella di San Giuseppe, caratterizzata dall’allestimento delle tradizionali “luminarie”. Le luminarie sono dei falò che si accendono la notte del 18 marzo, la vigilia della festa di San Giuseppe. Gli usi cerimoniali del fuoco sono molto diffusi in Sicilia.
Gran parte di queste celebrazioni si susseguono dal mese di novembre fino alla Quaresima, da prima del solstizio d’inverno fino all’equinozio di primavera (Buttitta 2002, p.119). Osservando la disposizione calendariale delle cerimonie caratterizzate dall’accensione di falò si intuisce come molte di esse dovettero essere originariamente connesse ai cicli produttivi dell’economia agropastorale, pratiche intese alla rifondazione dello spazio-tempo e con esso della vita, delle stagioni, secondo una concezione ciclica del tempo, dell’eterno ritorno (Buttitta 2002, p.135).
Così come ogni anno all’approssimarsi dell’inverno la natura muore, anche il tempo può morire (Buttitta 1984, p.137). Occorre allora mettere in atto pratiche dirette a rigenerare la forza attiva della vegetazione attraverso la rigenerazione del tempo (Buttitta 1995, p.18).
Il fuoco, per l’intrinseca forza simbolica che esercita, svolge in questo senso una funzione primaria; i falò pertanto sono un elemento caratterizzante le cerimonie di passaggio stagionale, le feste di apertura o chiusura del ciclo dell’anno, esitate in dipendenza dei diversi cicli produttivi su cui le comunità fondano la loro persistenza: promuovere la rinascita di un nuovo ciclo dell’anno (Buttitta 2002, p.136).
Poiché la vita si produce attraverso la morte, queste cerimonie consistono in un variegato insieme di pratiche che vanno dall’accensione di una o più luminaria, alle processioni di torce, “sciàcculi di ddisa”, ai salti sulle fiamme, alla raccolta dei carboni, allo sparo dei botti, “surfarieddi”, da parte dei ragazzi. Questi falò sono accesi la vigilia dei giorni dedicati ai santi del caledario gregoriano, così accade anche a Gratteri il 18 marzo vigilia della festa di San Giuseppe.
In passato, a Gratteri, in ogni contrada del paese veniva allestita una luminaria; spesso, tra i diversi quartieri vi era una vera e propria competizione per formare quella più grande, che poteva arrivare a toccare i 7/8m d’altezza, formata da legni, ginestre, vecchi oggetti di legno e recante sull’apice una grande croce di rami.
Oggi per la processione della sera del 18 marzo, viene utilizza il simulacro della Sacra Famiglia, ma fino a poco tempo fa, i più anziani, come Giuseppe Cirincione, classe 1918, ricordano che per l’occasione, annualmente si creava l’immagine del Patriarca e del Bambino con un sacco ripieno di lino (“linazza”) e stoffa, dove venivano innestate le mani e la testa di legno: da qui il nome “San Ciusieppi di linazza”.
Il corteo processionale percorreva le vie del paese, animato dai carusi che, tutti in fila davanti l’immagine del Patriarca, portavano, in sostituzione delle candele, mazzi di fiaccole accese di fiore d’ampelodesma, “sciàcculi di ddisa”, che venivano a creare un’atmosfera suggestiva. Come osserva Buttitta infatti, l’esibizione di elementi vegetali in numerose processioni e cerimonie di passaggio stagionale del periodo primaverile-estivo sono strettamente connesse alla dimensione uranica, al rapporto diretto con l’entità celeste (Buttitta 2006).
Al momento della benedizione davanti la Vecchia Matrice, i portatori del fercolo s’inginocchiavano col Santo sulle spalle. L’intero paese pareva che fosse a ferro e a fuoco, in ogni angolo e in ciascun rione erano allestite le piccole luminarie in onore del Santo, disposte in spiazzi e al centro di crocicchi. Lo stesso Cirincione racconta che, alla processione della sera, partecipavano quasi esclusivamente gli uomini, che cantavano e invocavano il Patriarca, intonando:
“Evviva lu Patri di la Pruvvidenza li razii dispensa, miraculi nni fa!”.
Di tanto in tanto qualcuno, levando un’invocazione al Santo, esclamava: “Viva lu Patriarca San Ciusieppi!
La signora Giuseppa Lanza, moglie di Cirincione, osserva che in passato, questa processione della sera, si svolgeva con grande devozione, ma negli anni ’70 degenerò e venne comunemente detta “a priggissioni di l’uomini”. Infatti, le donne non solo non partecipavano per la tarda ora, ma anche perché alcuni uomini ubriacandosi, si lasciavano scappare qualche imprecazione scherzosa e di cattivo gusto.
A tal proposito, Fatima Giallombardo occupandosi dei comportamenti ludico-orgiastici, conseguenti all’ubriachezza dei portatori delle vare, in alcune processioni in Sicilia, spiega che essi qualificano “un gusto collettivo di abolizione del controllo socialmente definito degli istinti, manifestati in una valenza di esplosione e espansione di energia emozionale e fisica, dove si riconosce l’eros, inteso come disordine e continua trasgressione dei limiti e delle barriere” (Giallombardo 1990b, p. 35).
In passato le donne aspettavano l’arrivo del Santo nel proprio rione, presso le luminarie, e intonavano in coro un tradizionale canto conosciuto in due diverse intonazioni, chiamato: la Salve Regina di San Giuseppe, mentre i ragazzi si premuravano di far ardere le vampe animandole con benzina e alcool, per alimentare le fiamme del gran falò che doveva riscaldare San Giuseppe, visto il gelo della notte.
Il Santo, percepito come presenza viva, è lì che osserva il fuoco acceso in suo onore: “San Ciusieppi s’avi a scrafàri” (riscaldare) riporta Giacomo Lanza, classe 1909. Oggi è stata ripresa l’usanza di distribuire i tradizionali pani di San Giuseppe e, nelle ceneri dei grandi falò, in alcuni rioni, vengono arrostiti carciofi, salsicce e “stiglioli”, e distribuiti nel quartiere i tipici dolci chiamati “sfinci di San Ciusieppi”, pasta fritta con lo zucchero.
Come sottolinea A. Cusumano, il pane, nel mondo contadino, assume un fortissimo valore simbolico; il pane della festa non è il pane di tutti i giorni, ma ha una qualità altra che si rende manifesta nella forma modellata secondo peculiari regole espressive.
Quel pane, destinato ad essere preparato e consumato in quella determinata occasione rituale, diventa segno imprescindibile di quella festa, ne è elemento costitutivo e funzionale, ne riassume figurativamente i referenti mitici. Quel pane è quella festa (Cusumano 1991, p.88).
In passato, come ricordano i più anziani, adempiendo alle promesse per le grazia ricevuta dal Santo, venivano allestiti anche a Gratteri come in molti comuni della Sicilia, dei veri e propri banchetti, detti “virginieddi”, per sfamare le famiglie più povere del paese.
Isidoro Scelsi parlando dei virginieddi di Gratteri scriveva: “a seconda della disponibilità finanziaria, il numero di esse variava da sette a tredici. In un giorno prestabilito, ma immancabilmente di mercoledì (giorno questo dedicato a San Giuseppe), venivano invitate a pranzo delle ragazze nubili o, in mancanza, delle vedove, alle quali veniva offerto un modesto banchetto. Il pranzo consisteva in pietanze frugali, quali la pasta fatta in casa, tagliarini, verdure, pane e frutta. Prima d’iniziare a mangiare si recitava una preghiera dedicata a San Giuseppe per ringraziarLo” (Scelsi 1981, p.135).
A tal proposito, come ricorda la signora Antonina Lazzara, classe 1921, una preghiera di ringraziamento veniva recitata dalla sua famiglia alla fine dei pasti:
“Ora c’aviemu manciatu e vivutu, ludamu a cc’u la razia n’ha datu, lu Patri e lu Figliu ni l’ha cuncidutu, San Ciusieppi sia ringraziatu!”.
La scrittrice A. Lanza, parlando dei virginieddi di Gratteri, scriveva: “…vengono cotti insieme legumi freschi e secchi, finocchi di montagna e altre verdure, pasta e riso. Seguono piatti di carne, buccellati e sfinge di San Giuseppe, soffici bignè ripieni di ricotta” (Lanza 1941, p.33).
A proposito del pasto sacro, Van Gennep sottolinea che il sacro banchetto di comunione tra uomini, “la commensalità, o rito di mangiare e bere insieme, è chiaramente un rito di aggregazione; la commensalità è reciproca e si verifica uno scambio di viveri che costituisce il rafforzamento del legame sociale” (Van Gennep 1973, p.25).
La grande quantità di cibo ritualmente consumato garantisce l’abbondanza per tutto l’anno, come ha sottolineato Fatima Giallombardo a proposito della festività di San Giuseppe in Sicilia: “il cibo, in quanto simbolo vitale e rigenerativo assumeva in antiche comunità il valore di una rifondazione simbolica e augurale di un nuovo ciclo e propiziava una condizione di vita caratterizzata dalla pienezza e dall’abbondanza per tutti” (Giallombardo 1990b, p. 43).
Ad essere invitati a consumare il sacro pasto sono significativamente i poveri, figure vicariali dei defunti, che vanno riconosciuti e ricordati per il desiderio di partecipazione alla gioia dei vivi. I morti, infatti, come scrive Eliade si accostano ai vivi specialmente nei momenti in cui la tensione vitale della collettività raggiunge il massimo, cioè nelle feste “della fertilità”, quando le forze generatrici della natura e del gruppo umano sono evocate, scatenate, esasperate dai riti, dall’opulenza e dall’orgia (Eliade 1976, p.364).
Le offerte alimentari ai poveri/defunti, la condivisione aurorale del cibo, la redistribuzione simbolica e, soprattutto, lo spreco, auspicano e prefigurano la futura ricchezza, attestano però a un tempo la vigente povertà anche attraverso l’esibizione di alimenti a base di verdure di campo: unico cibo abbondante in un periodo di penuria alimentare (Buttitta 2006, p. 124).
Racconta la signora Antonina Cirincione, classe 1913, che, fino a qualche tempo fa, quando nelle case si utilizzavano ancora i bracieri (“cunculìni”), al termine della cerimonia si portavano a casa pi divuzioni, tizzoni semispenti, tratti dai mucchi di legna consumati. Buttitta, studiando gli usi cerimoniali del fuoco e delle vampe in Sicilia, ritiene che tutti questi “comportamenti sono volti a entrare in contatto con le vampe sacre.
Il loro potere benefico, purificatore e fecondatore consente una catarsi e un rafforzamento delle energie individuali e collettive e permette agli uomini di accostarsi al divino che attraverso la fiamma si manifesta” (Buttitta 2002, p.160).
Oggi la pavimentazione di strade e piazze, la pericolosità del fuoco all’interno del centro abitato e lo spopolamento di alcuni quartieri, sono tra le ragioni che, non di rado, hanno generato la progressiva concentrazione dei diversi falò in pochi spazi o in periferia; oggi rimangono quelle allestite in Piazza Scala, Piazza Monumento, rione Pianura e largo Matrice Vecchia. Fino a qualche anno fa, bella era la competizione che si veniva a creare nel quartiere di San Andrea.
La caratteristica sfilata dei “carusi” con le fiaccole è quasi scomparsa; sono pochi infatti i bambini che partecipano ancora tenendo viva la tradizione. È chiaro che queste celebrazioni rinviano a rituali di rifondazione della natura, del tempo e della società, esorcizzano la morte della vegetazione e promuovono il ritorno della primavera, della nuova vita.
L’inizio dell’anno nel vissuto delle società arcaiche a economia agropastorale non era riconducibile a una data uniforme perché connesso ai particolari momenti di passaggio dei cicli produttivi dipendenti dal corso stagionale e dai suoi siti nelle diverse aree (Buttitta 2002). L’inverno si manifesta in tutta la sua forza, in particolar modo, nei paesi di montagna madonita, come Gratteri; queste pratiche arcaiche sono dirette a rigenerare la vegetazione.
La festa del 19 marzo, invece, giorno liturgicamente dedicato dalla Chiesa Universale a San Giuseppe, è caratterizzata dalle funzioni eucaristiche, dalla questua pomeridiana e dalla solenne processione per le vie dell’abitato, recando un antico simulacro del Santo col Bambino con la partecipazione delle confraternite e della banda musicale cittadina.
In passato già nel mese di gennaio il Santo veniva traslato dalla Matrice Vecchia alla Nuova per dar inizio ai tradizionali “mièrcuri di San Ciusieppi” dei giorni settimanali dedicati al Patriarca, caratterizzati dalla recita delle sette allegrezze, dell’omonima Salve Regina e l’intonazione dell’antico Rosario da parte delle donne. Per ogni grano si intonava:
“E decimilia voti e ludamulu a San Ciusieppi”
cui si rispondeva:
“Ludamulu di tutt’uri Maria Giuseppi e lu Signuri”
ad ogni fine posta si aggiungeva:
“Patriarca ‘Mmacolato, di Gesù custode amato, casto sposo di Maria, Vui salvati l’anima mia”.
Per quanto riguarda l’antica immagine di San Giuseppe col Bambino, essa è in legno dorato, scolpita e dipinta rispettivamente da Giuseppe De Joannes e Francesco Reyna nel secolo XVII. Il seicentesco simulacro dal 1930 viene custodito in una cappella in fondo alla navata laterale della Matrice Vecchia, ma proveniente dalla chiesa di San Giuseppe, oggi non più esistente dove vi era anche la sede della Compagnia del Santissimo Sacramento.
Da alcuni manoscritti custoditi nell’archivio storico parrocchiale di Gratteri si evince che quest’ultima venne fondata nel 1630 sotto il titolo di San Giuseppe e San Vincenzo Martire, chiamati tradizionalmente gli “schiavi del Ss.Sacramento”. Dall’inventario dei beni mobili del medesimo oratorio dell’anno 1715, si legge infatti:
“…Oratorius Santissimi Sacramenti huius terre di Grateri sotto la tutela et protezione delli Gloriosi Santi S. Gioseppe sposo della Gloriosa Vergine Maria et San Vincenzo Martire chiamati alla volgare li schiavi del Santissimo Sacramento fondata in questa terra di Gratteri per la prima fundatione nel anno 1630 et reformata per la reforma delli capitoli nel anno 1644 fatto de ordine mandato Reverendissimi Sacerdotis Don Joseph Tamburello gubernatori ditte oratorii …”
“…una statua del glorioso S. Gioseppe dorata con il Bambin in mano con suo sgabello fatti fare di elemosina di Antonino di Oddo e Giseppi Lapi per sua devozione” e si aggiunge nell’inventario: “il bastone in argento un sole e dui stilli di argento fatti dal medesimo Tamburello” e “…un quatro grande con li immagine del Santissimo Sacramento e San Giseppi el Vincenzo quale era nel antico tempo posto nel medesimo altare”.
Lo storico locale Isidoro Scelsi, ha individuato il documento più antico relativo a questa confraternita, un lascito datato al 1586, con il quale Agata La Vecchia, da Gratteri, lascia alla Confraternita in cambio di “cinque messe in perpetuo”, dieci piante di ulivi, siti nel feudo di Malagirati, contrada della Petrusi.
Originariamente era composta di soli “nobili, civili e galantuomini”, ma dal 1800 l’ingresso fu esteso a tutti. Era retta da un Governatore che nel 1832 assunse l’appellativo di “Superiore”. La missione religiosa di questa confraternita consisteva prevalentemente nella devozione al SS. Sacramento, all’assistenza ai moribondi, alla presenza continua dei confrati il Giovedì Santo dinanzi al sepolcro di Cristo; inoltre, la Domenica di Pasqua gli aderenti intervenivano, vestiti con l’antico costume, per aiutare il sacerdote cappellano a portare l’Eucarestia a tutti gli ammalati del paese, impossibilitati ad andare in chiesa. Tale pia funzione veniva chiamata “u priciettu d’i malati” (Scelsi 1981, p.119).
Oggi la confraternita, come si evince dallo statuto integrativo della stessa approvato nel 1993, si attiene allo statuto diocesano delle confraternite. Essa conserva le proprie finalità di fondazione: attività di carattere spirituali che mirano alla gloria di Dio; al bene spirituale delle anime ed una vita praticamente cristiana.
La confraternita partecipa a tutte le processioni se invitata dal comitato; ha l’obbligo di partecipare alla messa in suffragio del confrate defunto con un numero di confrati con le candele accese e in piedi per tutta la durata della Santa Messa e di accompagnare la salma alla tumulazione; ha l’obligo di partecipare una volta l’anno ad una Messa in suffragio di tutti i confrati defunti e ad una novena di Natale; provvede alla tumulazione dei confrati, delle mogli del confrate e delle figlie nubili, nella sepoltura di sua proprietà; ogni componente deve partecipare alla Messa del Giovedì Santo con l’abitino, assistendo al S. Precetto Pasquale.
Il Venerdì Santo è d’obbligo la partecipazione alla Via Crucis insieme alle altre confraternite con i misteri da tempo affidatele. La confraternita è governata da un consiglio di amministrazione composto da un governatore e da quattro consiglieri: il 1° e il 2° congiunto; un tesoriere; un segretario; l’assistente ecclesiale. Il governatore è il primo degli eletti; egli rappresenta la confraternita, vigilando sul buon andamento amministrativo della stessa, presiedendo nell’assemblea.
Le sue disposizioni e quelle del consiglio di amministrazione devono comunque attenersi alle decisioni del consiglio dei confrati. In passato le leggi di ammissione dei nuovi confrati erano abbastanza rigide: il novizio doveva obbligatoriamente frequentare la confraternita per un anno, affidato ad un confrate autorizzato “il maestro di novizii” che aveva il compito di temprare la fede del novizio e informarlo sulle finalità della confraternita.
La confraternita del Ss. Sacramento ha sempre avuto un ruolo di primaria importanza rispetto alle altre confraternite: partecipa sempre alle processioni e gode del privilegio di sfilare appena innanzi al Santo o al Ss. Sacramento come si evince dallo statuto integrativo della stessa.
Da antica tradizione, quando la processione è accompagnata dalla banda musicale, quest’ultima, prima dell’inizio della processione, si reca presso la sede della confraternita, la Matrice Vecchia, per accompagnarla alla Chiesa Madre come è previsto dallo statuto integrativo locale.
La confraternita è in possesso dell’antico costume storico, “la cappa”: una tunica bianca con un mantello rosso, un cordone che cinge i fianchi e un cappuccio con due sole aperture all’altezza degli occhi. Oggi tale divisa, viene indossata solo per la processione del Venerdì Santo, alzando il cappuccio per mostrare il volto.
Attualmente nelle processioni i confrati indossano l’abitino color rosso, recante sul dorso le lettere P.S.G. “Patriarca San Giuseppe” e sulla parte anteriore l’immagine dell’ostensorio del Ss. Scramento ricamato in oro. Le insegne (l’abitinu) indossate dal confrate superiore e dai consiglieri primi eletti invece, sono di color bianco; i cugnunti riportano le iniziali J. H. S. (Gesù Sacramentato), mentre il governatore, l’immagine dorata dell’ostensorio del SS. Sacramento ornata con motivi floreali.
Canto devozionale a San Giuseppe
Evviva lu Patri di la Pruvvidenza
ddi razii dispensa miraculi nni fa.
Evviva Giuseppi in sua compagnia
Evviva Maria evviva Gesù.
Evviva Giuseppi castissimu spusu
Ca Patri amurusu cchiù d’Iddu nun c’è.
Cci detti l’Eternu nell’altru cunsigliu
Lu verbu pi figliu lu Re di li Re.
Lu Figliu di Diu Vi stetti suggettu
Ccu summu rispettu ccu grann’umiltà.
Giuseppi cunsola, ravviva la fidi,
Giuseppi provvidi lu populu sò.
Beata chidd’arma chi l’avi pi guida,
cui in Iddu cunfida periri nun fa.
Evviva Giuseppi lu Patri d’amuri,
ca grazii e favuri benignu nni fa.
Giuseppi nni scanza di morti ‘mpruvvisa,
la nostra difisa Giuseppi sarà.
Evviva Giuseppi chi grazii dispensa
La so provvidenza mancari ‘un nnì fa.
La nostra difisa Tu nostru cunfortu,
Tu faru, Tu portu Giuseppi nnì sii.
In tronu sublimi Tu sedi in cunsigliu
A latu a tò Figliu cu gran pudistà.
Evviva Giuseppi ‘ntra tutti li Santi
D’amuri custanti cchiù d’Iddu nun c’è.
Impetra prigannu pri nui piccaturi
E grazii e favorii nuvellu Mosè.
O poviri afflitti, languenti e malati,
Giuseppi ‘nvocati lu medicu è ccà.
Riserva non avi da Diu summu beni
Giuseppi n’ottieni quan’Iddu vurrà.
Evviva Giuseppi l’eccelsa Regina,
la Matri Divina la spusa tua fu.
Lu Santu Bamminu chi teni pi manu,
t’ha fattu suvranu di regni e città.
Custudi fidili Tu stammi a lu latu
Passasti beatu a la vita accussì.
E ora chi ‘ncielu sidutu sii in tronu,
celesti Patronu Giuseppi nni sii.
Evviva Giuseppi felici chidd’omu,
chi porta lu nomu castissumu Tò.
O splendidu esempiu di fidi e ‘nnuccenza
Di sennu e prudenza d’amuri e pietà.
Culunna d’invitta costanza e alligrizza,
celesti purizza di virginità.
‘Ntra milli chi vantunu lu nomu di giustu,
lu primu Tu fusti di grazia e virtù.
Tu l’unica e sula pirsuna cchiù digna
D’aviri cunsigna la Matri e Gesù.
Evviva Giuseppi oh quantu patìu,
a l’occhiu di Diu la tua purità.
Pi Iddu l’erruri saranno distrutti
Patronu di tutti la Chiesa lu fa.
Evviva Giuseppi fu granni la sorti,
che in puntu di morti d’aviri a Gesù.
Cu l’inchita spusa lu Cristu a lu latu
Un sonnu beatu la morti tua fu.
O virgini spusu o pii sacerdoti
Fidali devoti prigamulu ccà.
Tranquilla e serena la vostra agonia
Cu Cristu e Maria Giuseppi farà.
Cu invoca Giuseppi nun temi l’infernu
Giuseppi in eternu, filici nni fa.
(Rosa Ceresia)
Preghiere a San Giuseppe
San Ciusippuzzu fustuvu Patri
fustuvu Vergini cuomu la Matri
Maria la Spusa, Giuseppi lu Gigliu
datici amuri, riparu e cunsigliu!
San Ciuseppi s’avvicina
cu la Spusa e lu Bamminu
la me morti ‘un sarà morti
ca sarà felici sorti!
(Maria Antonina Cirincione)
Salve Regina di San Giuseppe
(intonata durante l’arrivo del Santo presso le luminarie e la loro accensione)
Dio Vi salvi, o Giuseppi
ccu Cristu e ccu Maria,
chi bedda cumpagnia
chi Vi fui data.
A Vui fui cunsignata
‘sta spusa tanta bedda,
Maria la virginiedda
a Vui tuccau.
‘Stu Diu chi s’incarnau
pi Patri a Vui scigliu
pi sempri v’obbediu
cu gran rispettu.
Da Diu fustivu elettu
pi chistu granni amuri,
in terra e in tutti l’uri
a Diu purtastivu.
Se dunqui miritastivu
st’amuri assignuratu,
vi pigliu p’Avvocatu
e Protetturi.
Su chisti li me primuri
l’accettu ccu piaciri
un haiu chi timiri
in vita e in morti.
Se poi avrò la sorti
d’avirivi p’Assistenti
guidarvi poi cuntenti
in Paradisu.
E in Paradisu sia
ccu giubilu ed allegria
Viva Gesù, Giuseppi ed e Maria.
Viva lu Patriarca San Ciusieppi!
Patriarca San Ciusieppi tuttu chinu di carità, pruvviditi a tutti li nostri nicissità!