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Ethnic surnames and medieval migratory flows: in Gratteri the last descendants of Brucato?

Ethnic surnames and medieval migratory flows: in Gratteri the last descendants of Brucato?

Non sempre i cognomi etnici si lasciano riconoscere facilmente, come è il caso di Brocato, cg. PA, CT anche RC, derivato da bruca sic. ‘tamerice’ e sic. brucatu ‘broccato’ anche contrada (IGM 259 I N.O.). Varianti: Brucato (C) IGM 260 III S.E., S.O., ar. Būrqad (a. 985); Brucatum (a. 1156); Broccatum (a. 1140); Brucatu (a. 1349). Da qui cg. (Dizionario onomastico della Sicilia. Repertorio storico-etimologico di nomi di famiglia e di luogo di GIROLAMO CARACAUSI – Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, Palermo, 1994, V. I, p. 198).

I cognomi Brocato e Brucato, oggi sono attestati, in modo particolare, in diversi comuni della provincia di Palermo; Brocato, ad esempio, è uno dei più diffusi a Gratteri, centro delle Madonie (IGM 260 IV N.O.). Dallo spoglio dei Riveli di beni e anime della terra di Gratteri dei sec. XVI-XVII, è stato possibile osservare che, nel piccolo borgo madonita, tale cognome (di Brucato > di Brocato > Brocato) era uno dei più frequenti per numero di occorrenze già alla fine del 1500:

Brancato di Brucato tiene una casa a la strata di lo ponti di inmezzo di questa terra di Grattieri” (AST, Riveli Tribunale Real Patrimonio, V. 1167, anno 1584).

Orlando di brocato tieni una casa in dui corpi murata di taijo nella c.ta di S.to Leonardo” (AST, Riveli Tribunale Real Patrimonio, V. 1169, anno 1607).

Ma qual era il significato originario del cognome “di Brucato”?

Brucato era un villaggio medievale siciliano collocato sulla propaggine orientale del monte San Calogero (Termini Imerese), nei pressi del sito preistorico delle “Mura Pregne”. L’abitato venne distrutto nel 1338, durante la prosecuzione della guerra tra Angioini e Aragonesi.

Le cronache dell’epoca narrano che le truppe angioine e gli esuli siciliani – come Alduino Ventimiglia (figlio di Francesco conte di Geraci e barone di Gratteri) e Federico d’Antiochia – venuti da Napoli, si asserragliarono a Brucato e vi si trattennero per la sua posizione strategica facilmente difendibile.

Dopo l’assedio e la partenza degli Angioini, le truppe siciliane e aragonesi allontanarono la popolazione dal villaggio e distrussero tutte le abitazioni e le difese affinché i nemici non vi potessero ritornare (Fonti relative alla distruzione di Brucato in “Brucato. Histoire et Archéologie d’un habitat médiéval en Sicilie” – Ecole Française de Rome sous la direction de Jean Marie Pesez, Collection de l’Ecole Française de Rome – 78, Vol. I-II, 1984).

Grazie a quattro campagne di scavo condotte da l’École française de Rome dal 1971 al 1975 sono state riportate alla luce diverse case edificate in pietra e terra, punte di freccia, quadrelle di balestra e proiettili di pietra sul suolo delle strade del villaggio nonché un abbondante numero di denari dei re aragonesi di Sicilia, dei re angioini di Napoli e un quartaro di Genova (Missione dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales, diretta da Jean-Marie Pesez, e finanziata dall’École Française de Rome, in accordo con la Soprintendenza Archeologica di Palermo).

Di recente, grazie a studi e ricerche archivistiche, sono state individuate delle significative attestazioni e occorrenze di tali formule onomastiche precognominali (di Brucato) nei Riveli di Beni e Anime di Gratteri già nel sec. XVI. La presenza considerevole nel 1500 di tali cognomi, considerati degli etnici, potrebbe essere giustificata da un rilevante flusso migratorio medievale da Brucato a Gratteri che avrebbe contribuito probabilmente all’espansione stessa dell’oppidum madonita con la costruzione di nuove mura oltre l’area detta “terra vecchia”? (Sull’estensione di Gratteri nel sec. XIV vedasi: DI FRANCESCA PINA, Gratteri, Flaccovio, Palermo, 2000).

Di certo, alcune fonti storiche dell’epoca potrebbero venirci in aiuto per individuare il significativo legame tra i due centri siciliani durante le vicende belliche che coinvolsero Angioini ed Aragonesi.

Dapprincipio, bisognerebbe considerare – come ha osservato lo storico Orazio Cancila – che in epoca medievale, il trasferimento degli abitanti dei sobborghi vicini, era una prassi comune per la costruzione di importanti opere di fortificazione come successe, ad esempio, a Castelbuono per la costruzione del castello (CANCILA ORAZIO, Castelbuono medievale e i Ventimiglia, Palermo Associazione Mediterranea, 2010).

Amico riporta, infatti, che il conte di Geraci Aldoino Ventimiglia e suo fratello Francesco cominciarono a favorire il trasferimento degli abitanti dei villaggi circostanti verso il nucleo primitivo di Castelbuono, dove, nel 1269, erano stati trasferiti anche gli abitanti del piccolo casale di Fisaulo per sottrarli alle «intemperie dell’aria» (AMICO VITO, Dizionario topografico della Sicilia, tradotto e annotato dal latino da Di Marzo G., Palermo, 1855, I, p. 460).

A Gratteri, ad esempio, già dagli inizi del 1400 fino alla fine del 1500, sono state individuate delle fonti d’archivio che attestano degli abitanti rivelare degli appezzamenti di terreno in territorio di Brucato o lavorare presso quella masseria:

Raynaldus Bonafede (4 buoi, 1 aratro) Michael de Indulcis de Gratteri lavoratore a la Ginestra territorio di Brucato” (Archivio Notarile Termini Imerese, Notai defunti, G. Bonafede 4, 1420)

Nicolaus Bonafede (7 buoi) Chicchus di la Indivina de Gratteri (2 buoi) a la massaria de Brucato” (Archivio Notarile Termini Imerese, Notai defunti, G. Bonafede 5, 1430)

Vito Incrapera capo di casa di anni 66 di questa terra di Gratteri tiene uno loco disabitato nella contrata di Brocato” (ASP, Riveli Tribunale Real Patrimonio, V. 1166, anno 1584).

Pertanto, vista la significativa occorrenza del cognome Brocato, oggi a Gratteri uno dei più diffusi, e già presente, in maniera considerevole, nei Riveli degli abitanti di Gratteri del 1500 (di Brucato, di Brocato), verrebbe spontaneo chiedersi: trovarono accoglienza nella piccola roccaforte madonita gli ultimi abitanti del villaggio medievale di Brucato a seguito della completa distruzione dell’abitato nell’ottobre del 1338?

Per rispondere a questa domanda, bisognerebbe ricostruire gli ultimi momenti della storia di quella roccaforte siciliana prima di essere completamente rasa al suolo con la dispersione dei suoi abitanti (Vedasi: FRAGALE MARCO, Rattalùçiu…abberaffé. Cognomi e soprannomi di Gratteri dalla fine del sec. XVI agli inizi del XIX, Bagheria, Ed. Don Lorenzo Milani, 2013, rist. 2018, pp. 54-58).

Storia delle origini di Brucato attraverso le fonti d’archivio

Il toponimo Brucato, sotto la forma di Būrqad, apparve per la prima volta in una lista di compilazione geografica della Sicilia del 985 ad opera di al-Muqaddasi, autore orientale nato nel 947 (Al-Muqaddasi, Kitab ahsan al-taquasim. Ed. Amari Michele, Biblioteca Arabo-sicula, App., Leipzig, 1875, p. 54-55; trad. ibid., 2, Torino-Roma, 1881, p. 668-670).

Come ha osservato lo storico francese Henri Bresc, il toponimo è basato sullo stesso modello di altri centri fortificati siciliani che lo precedono nella stessa lista di fortezze compilata dal geografo orientale Muqaddasi, come, ad esempio, Qal ‘at al-qawarib (Mistretta); Qal ‘at al-sirat (Collesano); Qal ‘at Abi Tawr (Caltavuturo).

Esso, secondo lo studioso francese, risulterebbe un kunyah – nome onorifico tipico dell’onomastica araba e arabo-musulmana – consistente nel nome assunto da una persona come “padre” (in arabo Abū) con l’aggiunta del nome del figlio o di una qualifica nobile o ironica: Abū Ruqqad “il padre del sonno” o semplicemente “l’addormentato” (BRESC HENRI, Les sources historiques in “Brucato. Histoire et Archéologie d’un habitat médiéval en Sicilie” – Ecole Française de Rome sous la direction de Jean Marie Pesez, Collection de l’Ecole Française de Rome – 78, 1984, Vol. I, pp. 39-40 in trad.).

Molto presto il nome, sottoposto alla sincope delle vocali brevi, si trasformò in un puro toponimo geografico anche se la trascrizione araba di Brucato (Būrquad) ne ricordava l’antroponimo originario tanto che il nome del fiume, fino ai tempi di Edrisi, conservava ancora il nome di Wadi abi Ruqqad (IBIDEM).

Come ha intuito Bresc, dunque, sui modelli di altri toponimi siciliani costruiti sulla base di kunyah-s, si potrebbe presupporre che il nome di Brucato, derivato da un antroponimo arabo, designasse, durante il periodo saraceno, tanto un semplice dominio rurale quanto un villaggio fortificato con funzione militare sito in un punto strategico di frontiera amministrativa tra le città sottomesse ai Musulmani e i territori cristiani della Valdemone (BRESC HENRI, op. cit. pp. 39-40).

Ad ogni modo, il primo documento individuato relativo al toponimo Brucato risalirebbe al 1094 ed è una donazione da parte di Roberto di Brucato di due villani al monastero di San Bartolomeo di Lipari confermata dal conte Ruggero I d’Altavilla (Archivio Capitolare, Patti. Fond. 1. Ant. 13, mod. 54 già in Pirri R., Sicilia Sacra, 3 ed., Palermo, 1733, p. 771-772). Difatti, questa fonte ci permette d’identificare l’abitato come un centro importante, una terra, secondo la tipologia in vigore nella Sicilia del XIII-XV secolo.

Un altro documento significativo sarebbe anche quello del 1134 in cui re Ruggero II conferma al monastero di San Bartolomeo di Patti e Lipari i suoi possedimenti come chiese rurali di casali dipendenti da una “terra”. Tra questi troviamo l’ecclesia Sancte Crucis in territorio di Brucato, l’ecclesia Sancti Eliae de Grattera, insieme alla stessa obbedienza di Gratteri (PIRRI ROCCO, Sicilia Sacra, 3 ed., Palermo, 1733, p. 774).

Nel 1140 poi, ritroviamo un certo Johannes de Broccato fra gli insigni testimoni per la stipula di un atto da parte di Adelicia, dama di Collesano e nipote di Ruggero II, in cui vengono donati sei villani alla chiesa cattedrale di Cefalù ricevendo a sua volta dal vescovo Jocelin la chiesa di San Nicola di Malvicino e dalla contessa Adelicia un mulino con il diritto di macinato (ASP, Tabulario di Cefalù, n. 8 già in Garufi C.A., I Documenti inediti dell’epoca normanna in Sicilia, Palermo, 1899, pp. 38-40).

Verso il 1090, Brucato ricadeva nella circoscrizione del vescovo di Girgenti ma già nel 1177 il suo feudo veniva ceduto in donazione all’arcivescovo di Palermo (COLLURA P., Le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento, Società siciliana di storia patria, documenti per servire alla storia siciliana, 1° serie, 25, Palermo, 1960, p. 312).

Difatti, grazie anche alla forte protezione dell’arcivescovo di Palermo, il casale di Brucato si presentava fino al 1277, come una Universitas autonoma che, tuttavia, occupava gli ultimi posti degli abitati autonomi della Val di Mazara. Essa pagava due onze all’amministrazione angioina, presentando soli 10 fuochi, dunque, circa una cinquantina di abitanti (MINIERI RICCIO CAMILLO, Notizie storiche tratte da 62 Registri Angioini, Napoli, 1877, p. 219).

In effetti, solo la vicinanza a Palermo e la presenza di un signore feudale protesse Brucato durante il difficile periodo della guerra del Vespro quando, a differenza degli abitati autonomi con un potere più forte e consolidato, molti dei casali giuridicamente dipendenti scomparvero del tutto con il raggruppamento dei loro abitanti.

Piuttosto, già nel 1282, la popolazione di Brucato risulterebbe essersi triplicata visto che, nella nuova tassa da elargire al re Pietro d’Aragona per il finanziamento della conquista catalana, essa è chiamata a fornire la sua parte di provviste in natura con 50 salme di frumento, 50 salme di orzo, 50 vacche e 200 pecore castrate (SILVESTRI G., De Rebus Siciliae. Documenti inediti estratti dell’Archivio della Corona di Aragona, Palermo,1882, p. 13-16).

In effetti, nel 1283, la somma che elargisce la sua Universitas è pari a 6 onze di trenta tarì, quindi una popolazione fiscale presumibilmente di circa una trentina di fuochi (SILVESTRI G., op. cit., p. 293-295). Dalla lettura dello stesso documento è possibile desumere le imposte che pagavano a re Pietro d’Aragona le Università della Sicilia Occidentale per la conquista catalana: Gratteri, ad esempio, contribuiva con la somma di 15 onze (Gratterium uncie quindecim) pari ad una popolazione fiscale di circa 75 fuochi (circa 375 abitanti).

Almeno fino al 1307 doveva esistere a Brucato una chiesa visto che vi risiedevano almeno due preti: Benedicto de Johannes Riccio de Polizzi e Andreas de Thermis; tuttavia, veniva considerato ancora un casale privo di importanza politica (dominio del vescovo di Palermo) e di un notaio che, per l’occorrenza, veniva chiamato da Polizzi (ASP, Tabulario Magione, 479; Biblioteca Comunale di Palermo, Qqh 3, f. 94 già in BRESC HENRI op. cit. pp. 50-51 in trad.).

In realtà, una buona parte della popolazione di Brucato proveniva proprio dalle montagne delle Madonie, come si evince dalle prime forme cognominali dei suoi abitanti individuati in un atto di donazione del 1307: su quindici testimoni elencati della terra di Brucato, sette portano un toponimo d’origine (Symon de Giracio; Orlandus de Mistrecta; Nicolaus de Policio; Andreas de Policio; Raynerius de Pictineo; Nicolaus de Pictineo; Andreas de Thermis); due patronimici semplici (Franciscus de Juliano; Henricus de Christoforo); un cognome di mestiere (Alamagnus Michaelis Barberii) e cinque soprannomi individuali o di famiglia (Magister Nicolaus Sillufus; Henricu Anictanti; Johannes de Apibus; Gualterius Marcillanus; Tornabene Sillufus) (ASP, Tabulario Magione, 479).

Un documento del 1310 confermerebbe che Brucato in quell’epoca era ancora un dominio rurale dell’arcivescovo di Palermo, un casale privo di notaio e dipendente economicamente da Termini (Biblioteca Comunale di Palermo, Qqh 3, f° 94).

Bisognerà attendere il 1331 affinché degli atti notarili palermitani ci forniscano un indice di importanza nuova di Brucato che non risulta più finanziariamente dipendente da Termini poiché i suoi abitanti possono intrattenere in autonomia dei modesti affari con dei mercanti di Palermo (ASP, Notai Defunti, 1 stanza, Salerno Pellegrino, 3, f. 79). Ad ogni modo, occorrerà aspettare la guerra angioina per reperire una documentazione appropriata che testimoni l’importanza di Brucato e la sua nuova funzione militare (BRESC HENRI, op. cit., p. 52 in trad.).

La posizione strategica di Brucato nella guerra tra Angioini ed Aragonesi

Le grandi spedizioni angioine, sotto Carlo I, Carlo II e Roberto d’Angiò erano principalmente mirate all’instaurazione nell’isola di Sicilia di basi permanenti: Augusta nel 1287, Patti, Milazzo e Monforte, dopo la presa di Siragusa nel 1278, Catania, Termini e Sciacca dal 1299 al 1302, Castellammare dal 1314 al 1316.

Dopo la caduta di quest’ultima città e il nuovo fallimento del grande tentativo effettuato contro Palermo nel 1325, la corte di Napoli aveva preferito optare per una guerra d’usura: flotte di galee devastavano le campagne a ridosso della costa, sbarcando piccoli corpi di cavalleria che si spingevano all’interno per bruciare i casali e i raccolti. Nel 1316, in tutta la Sicilia occidentale, mentre nel 1325 nelle regioni di Trapani, Siragusa e in tutta la costa ionica, nel 1326 altri attacchi furono lanciati in maniera casuale contro le grandi città di Palermo, a Messina e a Catania (Vedasi: PERI ILLUMINATO, La Sicilia dopo il Vespro, Bari, 1990).

Nel 1335 e nel 1338 delle nuove grandi spedizioni angioine si proposero di stabilire in Sicilia delle basi permanenti. In effetti, secondo i loro piani strategici, uno sbarco tra Termini e Cefalù avrebbe permesso di dividere l’isola in due parti. Brucato venne a trovarsi in tal modo al centro dei progetti di conquista dei napoletani (GIUNTA FRANCESCO, Aragonesi e catalani nel Mediterraneo, I, Palermo, 1953).

Di certo, l’oppidum di Brucato fu individuato come base principale della loro spedizione anche per la sua posizione strategica: una adeguata fortificazione sulla via per Termini, Collesano, Polizzi e le Madonie nonché la via naturale del fiume Torto (BRESC HENRI, op. cit. p, 55).

Per tale ragione, nel 1335 Roberto d’Angiò, principale nemico della Corona d’Aragona, progettò una prima spedizione in Sicilia che venne affidata all’esiliato conte di Modica, Giovanni Chiaramonte con la promessa di restituirgli i suoi feudi e di concedergli una parte delle prime conquiste del valore di mille onze annue. Pertanto, il Chiaramonte – assieme a Roberto Sanseverino conte di Corigliano – al comando di una flotta composta da sessanta galere e mille cavalieri sbarcati presso la foce del fiume Grande (l’Imera settentrionale) tentò di espugnare Brucato, che tuttavia riuscì a resistere, e poi Licata, quest’ultima eroicamente difesa da Pietro d’Antiochia.

Tuttavia, dopo essere stati respinti, gli Angioini si dettero al saccheggio della fascia costiera tra Agrigento e Marsala, puntando poi su Palermo, dove la presenza, del resto casuale, di una flottiglia siculo-aragonese, impedì loro ogni azione ostile.

Dopo due mesi di scorrerie senza risultati apprezzabili, fu deciso il ritorno a Napoli, dove l’accoglienza riservata da Re Roberto ai due sfortunati capitani fu piuttosto tempestosa (IBIDEM). Tre anni dopo, mentre i personaggi cambiarono lo scenario rimase complessivamente molto simile al precedente: Giovanni Chiaramonte rientrò nelle grazie di re Pietro, mentre Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, accusato di fellonia, trovò la morte durante l’assedio della rocca di Geraci nel febbraio del 1338 mentre cercava di fuggire inseguito da Francesco Valguarnera (PERI ILLUMINATO, La Sicilia dopo il Vespro, Bari, 1990).

Dopo la secessione e la morte di Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, uno dei suoi figli, Aldoino (signore di Gratteri) e il suo alleato, Federico d’Antiochia (signore di Mistretta, Cerami, Capizzi e Caltavuturo) trovarono esilio presso la corte angioina di Napoli, progettando una seconda grande spedizione che avrebbe previsto un grande insediamento angioino in una vasta area riunita attraverso la fedeltà ai vecchi signori feudatari e non conquistata con la forza (Dizionario Biografico degli Italiani, Vol LXIII, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani; SIRAGUSA G. B., Le imprese angioine in Sicilia negli anni 1338-1341, in Arch. stor. siciliano, n. s., XV (1890), pp. 283-321).

14 maggio 1338: l’ingresso di Aldoino Ventimiglia a Gratteri tra il tripudio degli abitanti

Aldoino Ventimiglia e Federico d’Antiochia parteciparono, in prima fila, alla spedizione condotta da Carlo d’Artois, figlio di Roberto d’Angiò, insieme al conte Ruggero di Sanseverino e al conte di Corrigliano, Filippo da Sangineto. Da una cronaca anonima dell’epoca, Chronicon Siculum, sappiamo che la flotta angioina, composta da cinquanta galere e taride che trasportavano mille e duecento cavalieri, sbarcò senza impedimenti fra Termini e Cefalù, presso la marina di Senescalco o Roccella nel giorno di lunedì 11 maggio del 1338 (Chronicon Siculum in GREGORIO ROSARIO, Biblioteca scriptorum…, 1792, II, p. 249-252).

Da lì, in pochi giorni riuscirono a conquistare i castelli dei Ventimiglia fortificandoli con munizioni, uomini ed armi: Golisano, il 13 di maggio; Gratteri, dove Aldoino entrò trionfalmente nella sua contea il 14 di maggio; Bruccato il 15 di maggio e, a seguire, il castello di Sancto Angilo (Pizzo S. Angelo sito fortificato di Gibilmanna in cui attorno al 1100 esisteva Malvicino) (IBIDEM).

A tal proposito, il cronista Michele Da Piazza riferisce che, nella circostanza, la popolazione di Gratteri condivise e appoggiò l’agire ribellista dei Ventimiglia (NOTO R., La Roccella e il suo territorio nei secoli XII e XIII, in “Archivio Storico Siciliano”, Serie IV-V, Palermo 1980, XV, pp. 81-112). Aldoino entrò in Gratteri senza nessun ostacolo, fra il tripudio degli abitanti che lo venerarono come loro signore:

“Et die iovis sequentis XIIII ejusdem, terra Gracteri, pro eo quod Aldoynus predictus erat cum predicto hestolio, qui fuerat dominus dicte terre, comite predicto vivente Francisco, ipsos vocavit, et sine aliquo obstaculo terram habuerunt predictam; et intrantes in eam, maximum fuit gaudium inter eos: et dictum Aldoynum tamquam dominum eorum venerabant. De cujus presentia maximum inter eos fecerunt tripudium” (DA PIAZZA MICHELE, La Cronaca (1336-1361) a cura di GIUFFRIDA ANTONINO, Palermo 1980, p. 63-70).

Così riportava anche il Fazello: “Partita adunque l’armata da Napoli, andaron con prospero vento in Sicilia del mese di Maggio e si fermaron alla Rocella poco lontan da Cefalù, e sbarcata la gente in terra, i Capitani andarono alla volta di Golisano, e con poca fatica lo presero. Andaron poi il giorno seguente a Gratteri, e quei di dentro veduto Aldoino, il quale havevon conosciuto per signor in vita del Conte Francesco suo padre, apriron subito le porte, e ritornarono alla sua divotione. Voltaronsi poi le genti a Brucato e lo presero, e s’insignorirono anchora di Monte S. Angelo” (FAZELLO TOMASO, Le due deche dell’historia di Sicilia, Palermo, 1574, p. 497).

Gli invasori, dopo aver ristabilito la loro autorità, più o meno pacifica, sulle Madonie occidentali, e lasciato l’esercito terrestre a Brucato, ripartirono dunque per Napoli per un rifornimento di provigioni, scale di legno e macchine d’assedio. Nel frattempo, venendo meno il materiale d’assedio, Carlo d’Artois non aveva preso parte a nessun’altra offensiva riperdendo, solo dopo pochi giorni, la stessa roccaforte di Monte Sant’Angelo (Chronicon Siculum in GREGORIO ROSARIO, op. cit., p. 249-252; FAZELLO TOMASO, op. cit., p. 497).

D’altra parte, invece, come ha osservato Bresc, si fa fatica a comprendere la presa così celere di Brucato – visto la resistenza degli abitanti durante la prima spedizione del 1335 – se non come una possibile defezione della popolazione originaria delle Madonie, rimasta fedele ai Ventimiglia. Tanto è vero che Brucato verrà definita dai cronisti dell’epoca come la base angioina per la conquista di Termini, dove gli invasori avevano istallato la loro cavalleria prima di ritornare a Napoli (BRESC HENRI, op. cit., p. 54, in trad.).

Difatti, il 19 giugno, la flotta angioina sbarcò nuovamente in Sicilia, nella piana di Milazzo, con altri ottocento cavalieri pronti per una nuova marcia su Termini. I Napoletani conquistarono la città grazie ad uno stratagemma, ovvero il taglio dell’acquedotto Cornelio, che permise ad essi di mandare a secco la città e la popolazione: tre, quattro e infine nove macchine da guerra iniziarono a bombardare la città, distruggendo quasi tutte le abitazioni e costringendo gli abitanti a trovare riparo lungo le mura per scampare alle pietre catapultate (con blocchi di 280 Kg).

Alla fine, i termitani, tormentati dalla fame e dalla sete, chiesero una tregua agli Angioini perché speravano nei soccorsi di Re Pietro di Aragona che invece tardò ad arrivare, impedito dagli intrighi di Corte. Termini fu costretta così alla capitolazione. Il 27 agosto, la città si arrese ma i nemici continuarono l’assedio del castello che riuscì a resistere grazie all’arrivo dell’armata e della flotta siciliana che li costrinse a lasciare l’isola l’11 settembre del 1338, non senza perdere prima un’ultima battaglia dove persero la vita sessanta cavalieri mentre altri cinquanta si rifugiarono a Brucato (DA PIAZZA MICHELE, op. cit., p. 63-70; Chronicon Siculum in GREGORIO ROSARIO, op. cit., 275-277).

La riconquista aragonese e la morte del generale Pietro Lancia durante l’assedio di Gratteri

Re Pietro, profondamente amareggiato, decise in ogni modo di recuperare le terre e i castelli occupati dai nemici. Così, fino al 25 di settembre del 1338, il conte Giovanni Chiaramonte che guidava l’armata siciliana si occupò della riconquista di Collesano e Gratteri. E fu proprio durante l’assedio del castello di Gratteri, in cui un duro conflitto provocò un grandissimo massacro da entrambe le parti, dove trovò la morte il valoroso Pietro Lancia, colpito da una saetta, la cui notizia afflisse profondamente l’animo di re Pietro (DA PIAZZA MICHELE, op. cit., p. 63-70).

La stessa informazione viene riportata anche dal Fazello:

Re Pietro messe insieme un grosso esercito e lo mandò contra i nemici, sotto la condotta di Blasco di Alagona e di Pietro Lancia. I napolitani veduto l’esercito de’ Siciliani, si misero paura, e così sbigottiti montarono in mare, e vilmente si partiron dal luogo dov’erano. Fuggiti che furon i nemici, Blasco s’avviò verso Brucato, ch’era presidio miglior ch’havessero i Napolitani, e datogli l’assalto, lo prese finalmente a patti, havendo liberamente lasciato andar i soldati del Re Ruberto con due galere a Napoli. Assediò poi Gratteri, dove seben gli morì il suo collega Pietro Lancia, ucciso da un tiro d’arco, nondimeno egli prese ‘l castello con poca fatica, e così racquistò gli altri luoghi che s’eran ribellati dal Re” (FAZELLO TOMASO, op. cit., p. 498).

Infine, il 7 ottobre dello stesso anno, l’armata siciliana, condotta da Giovanni Chiaramonte, assediò l’oppidum di Brucato, la fortezza più importante del quadrilatero angioino, bombardandola giorno e notte cum machini belligeri fino ad ottenere la capitolazione il 10 ottobre a mezzogiorno.

La cronaca riporta che, all’ora del vespro, gli ultimi napoletani asserragliati dentro la roccaforte, s’imbarcarono su due galee genovesi, lasciando l’isola nelle mani di re Pietro: “li genti di lo dicto Roberto, li quali la dicta terra et castello guardavano, non potendo resistiri a li Siciliani, divinniro ad pactu cum li Siciliani, et la terra predicta cum lu castello restituiro a li Siciliani” (Historia Sicula in GREGORIO ROSARIO, op. cit., pp. 275-277).

La fortezza, già demolita dalle pietre delle macchine d’assedio venne rasa definitivamente al suolo probabilmente a causa del lungo e continuo bombardamento o dalla distruzione volontaria da parte dei vinti durante l’evacuazione (BRESC HENRI, op. cit., p. 55, in trad.).

Ad ogni modo, il Fazello visitando il sito di Brucato verso il 1550 riporta di aver visto in contrada Cortevecchia le case in rovina e la fortezza smantellata chiamata Castellaccio che, secondo quanto asserisce, venne rasa al suolo dall’armata siciliana di re Pietro dopo la defezione degli abitanti che vollero liberarsi definitivamente dai Francesi asserragliati, dopo la distruzione di Termini, all’interno della fortezza (FAZELLO TOMASO, De rebus…, 1749, p. 372).

Il sito, tuttavia, non venne immediatamente abbandonarono ma sopravvisse come terra e abitato in termini giuridici e topografici per altri dieci anni dalla distruzione (BRESC HENRI, op. cit., p. 56, in trad.). Malgrado ciò, già nel 1375, un rapporto generale completo di tutte le fortezze siciliane condotto da Bertrand du Mazel non citerà più quella di Brucato (GLENISSON JEAN, “Documenti dell’Archivio Vaticano relativi alla Collettoria di Sicilia (1372-1375)” in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, 2, 1948, pp. 225-262).

Il nome Brucato resterà solamente legato ad un feudo, passato molto velocemente alle famiglie della piccola nobiltà di Termini, in cui l’attività agricola prioritaria era la masseria cerealicola (BRESC HENRI, op. cit., pp. 56-58, in trad.).

In conclusione, come ha osservato lo studioso francese Henri Bresc, l’area dell’abitato doveva essere abbastanza estesa per donare asilo a buona parte dell’armata angioina nei mesi di maggio e giugno del 1338, a parte qualche corpo militare impegnato per la difesa di Gratteri e Collesano. Si trattò molto probabilmente di parecchie migliaia di uomini che trovarono ospitalità all’interno della fortezza o furono accampati in prossimità dell’abitato e di quasi mille cavalli che non potevano non rappresentare un considerevole problema di alloggio e riparo (BRESC HENRI, op. cit., p. 54 in trad.).

Pertanto, vista la presenza ingombrante dell’esercito angioino, e la successiva distruzione dell’abitato, dove sfoggiarono gli ultimi abitanti di Brucato?

Di certo, dalla consultazione degli archivi notarili di Termini vengono attestati cognomi etnici in diverse località delle Madonie: un certo Bartholomeus de Brucato, ad esempio, viene individuato a Polizzi già nel 1344 (Archivio Notarile di Termini Imerese, Notai defunti, G. Bonafede, 2, già in BRESC HENRI, op. cit., p. 58 in trad.). È molto probabile, dunque, che la popolazione trovò riparo nella vicina cittadina di Termini o nelle ultime roccaforti delle Madonie. Questo potrebbe spiegare, finalmente, la significativa attestazione e occorrenza di etnici di Brucato nella Gratteri nel 1500.

Marco Fragale
(Università di Palermo)