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“A Vecchia”: manifestazione di fine anno
Come vuole la leggenda gratterese, sin dalla notte dei tempi, A Vecchia, una donnina tanto longeva quanto brutta, sorveglierebbe dall’alto della sua grotta l’antico villaggio madonita, passando ogni singolo giorno dell’anno a preparare doni e leccornie ai fanciulli di Gratteri.
Essa scenderebbe in paese soltanto l’ultima notte dell’anno per distribuire i suoi doni a quei pargoli sulla base dei loro meriti, intrufolandosi silenziosamente dai posti più impensabili di quelle umili abitazioni.
A Strina conosce ogni cosa di quei bambini, tanto che, durante tutto l’anno, i genitori esortano i più piccoli a comportarsi diligentemente, per non avere la brutta sorpresa di trovare soltanto cenere e carbone:
“Pi Natali nasci u Bammineddu,
u primu di l’annu veni la Strina”. (Antonina Lazzara, classe 1923).
(Per Natale nasce il Bambinello,
il primo dell’anno arriva la Strina)
.
“Jnnaru mina ventu e fa furtura,
‘u primu jornu ti scontra la Strina,
si nni cala adasciu adasciu a la piduna
e vvà circannu risiettu di marina”. (Giuseppa Lanza, classe 1922).
(Gennaio semina vento e porta gelo,
il primo giorno ti incontra la Strina,
se ne scende a piedi, lentamente
per cercare il clima mite della costa).
In passato, come raccontano i più anziani, per la notte di Capodanno si compieva in paese un significativo rito di fine anno. Difatti, come spiega la signora Giuseppa Ilardo, passava per le vie dell’abitato un uomo mascherato – la Vecchia – a dorso di un asinello, che nascondeva il suo volto sotto un un lenzuolo bianco, scortato dai ragazzi del paese che preannunciavano, con le loro urla, il suo arrivo: “A Vecchia! U picciriddu mi cianci!”.
Essi attuavano per le vie del paese una questua itinerante, suonando corni di animali, fischiando, cantilenando di porta in porta:“O mi dati un turtigliuni, o vi scassu lu purtuni!””O mi dati un cucciddatu o vostru maritu vi cadi malatu!”.
Così, ogni famiglia offriva quello che poteva: fichi secchi, fave e dolci di Natale – i tradizionali “turtigliuna” – buccellati ripieni di canditi e ricoperti da code di zucchero, detti a Gratteri “diavulicchi”. Tale offerta veniva ricambiata con uno scambio d’auguri, per un prospero e fruttuoso anno nuovo:
“Buon Capudannu, buon capu di misi,
li turtigliuna unni l’aviti misi,
l’aviti misi nte la cascitedda,
niscitili ca passa a Vicchiaredda” (Maria Antonina Cirincione, classe 1913).
Secondo gli antropologi dell’Università di Palermo, quest’antica consuetudine come altre in Sicilia, risulterebbe di straordinario interesse antropologico, poiché si ricollegherebbe all’antico scambio rituale dei doni, alle maschere e a riti di passaggio durante il periodo invernale per rifondare il ciclo dell’anno e con esso la vita stessa della comunità.
Come spiega Ignazio Buttitta “non è affatto un caso che siano i poveri e i bambini a ricevere doni in precise occasioni rituali né che nei periodi critici, gruppi mascherati irrompano fragorosamente nello spazio abitativo e vadano questuando per case e fattorie […].
Dai morti, dagli antenati, inoltratosi l’inverno, dipende più che mai la vita. Da loro, che in questo periodo di poca luce e di freddo trovano occasione di aggirarsi sulla superficie della terra, è necessario salvaguardarsi; bisogna allora renderli propizi non mancando di offrire cibo e calore; bisogna tenerli a distanza accendendo fuochi, producendo rumori assordanti (A.Buttitta 2006, pp.110-114).
Dagli anni Settanta fino ad oggi, questa antica usanza è stata ripresa e adattata dalla pro-loco in chiave folkloristica. Così, per la notte di San Silvestro, alle ore 21, la Vecchia viene accolta dal popolo in contrada San Vito. Essa, come da tradizione, è ricoperta da un lenzuolo bianco, in groppa ad un asino, accompagnata da un corteo di ragazzi travestiti da pastori dei secoli passati, che le illuminano il cammino con delle rudimentali torce di cera, urlando il suo nome a squarciagola, suonando corni di animali e campanacci.
Come osserva lo stesso Buttitta, i frastuoni e i suoni dei campanacci, sarebbero dei “segnalatori di alterità”. La Vecchia, dopo un intero anno rinchiusa nella grotta, riscende in paese accolta con allegria da tutta la comunità (A.Buttitta 2006). In tal modo, si infrange la tranquillità della notte con un mascheramento anche sonoro.
E sono proprio i carusi, i principali protagonisti di tale tradizione, abbigliati con costumi tradizionali di pastori e montanari: pantaloni e giacca di velluto, mantello con cappuccio, “scappularu o tistièra”, coppola, fazzoletto al collo, gambali di pelle “jammalina”. È su di loro che bisogna soffermare l’attenzione, in quanto a prima vista potrebbe passare inosservato un altro rito, quello di iniziazione che attuano i carusi durante la più gelida notte dell’anno, per accingersi a diventare grandi.
A partire dai sette anni infatti, i fanciulli, molto spesso affidati ai più grandi, percorrono insieme ad un gruppo di ragazzi il tortuoso sentiero che si inerpica tra la pineta di San Vito fino alla Grotta Grattara. Una prova di coraggio e solidarietà: vincere la paura del buio della notte e resistere a quei versi, come il vento che ulula tra gli alberi, come misteriose presenze di spiriti della natura in un immaginario fiabesco.
Arrivati alla grotta, si ritorna a riveder le stelle.
Così, il più esperto del gruppo suona un corno di bue urlando nella grotta. Un suono così vigoroso che si propagava fino in paese, nella tranquillità della notte. È la voce della Vecchia, pronta a ritornare tra la sua gente. La prova è superata.
I ragazzi ritornano giù, ma stavolta con delle torce accese che guidano i loro passi. I carùsi, ripetendo tali gesti in maniera inconsapevole, non fanno che riaffermare l’identità del gruppo, il senso di appartenenza alla comunità, intesa come modo di conservare socialmente memoria.
Come sostiene l’antropologo Sergio Bonazinga, il mascheramento che i ragazzi metterebbero in atto, sarebbe anche sonoro; ogni bambino, infatti, detiene un proprio campanaccio, un segnalatore acustico, come in un gregge. I campanacci come sostiene ..Schmirtt, sarebbero da associare agli animali e non agli uomini, e a loro volta, agli antenati del gruppo.
Sono proprio i bambini quindi, che assolvono un importante ruolo, quello di mediatori mitici tra il mondo dei defunti e quello dei vivi, poiché godono di uno statuto particolare e si fanno carico di propiziare ritualmente l’ordinato ciclo delle stagioni (Schmitt 1988, p.146).
Ad ogni modo, l’avvento delle maschere, segnalando la necessità della morte, impongono il ritorno alla vita. La maschera della Vecchia viene insultata, derisa, sia per la sua longevità sia per la sua bruttezza, come viene riportato nei canti popolari riadattati dalla pro-loco sui paradossi del Pitrè:
“Facciazza d’un crivazzu arripizzatu…spaddazzi di na mula di trappitu…taliàti genti tutti a Santu Vitu…niscìu la Vecchia ncerca di lu zitu…”.
In questo modo, si evocherebbero fatti straordinari avvenuti “illo tempore” per la nascita della Vecchia:
“Quannu nascisti tu làdia vicchiazza…ci foru centu negli e trimulizzi…lu suli s’annigliò cu nna nigliazza…Lu risìnu cadìa stizzi stizzi”. Durante questa notte, si avrebbe la riattualizzazione del mito, come una volta avvennero straordinari avvenimenti così per una notte l’equilibrio viene infranto con il ripetersi degli eventi; con il suo arrivo, avviene il rovesciamento, l’alterità dell’equilibrio naturale:
Vitti affacciari lu suli di notti…e quattru muti jucari a li carti…iò vitti siminari favi cotti…si vitturu ntè marzu ficu fatti…”.
Si svolge una questua itinerante, un circuito cerimoniale di scambio, animata da suoni bandistici, canti popolari e nenie natalizie. L’ilarità e l’allegria prendono il sopravvento. Per intrattenere il pubblico si fa ballare la “scecca” nelle piazzette e di tanto in tanto le si fa trincare vino e liquori per tenerla un po’ su di giri.
Alberto Maria Cirese, ha rivelato il fatto che: le “strenne” di Capodanno sono un evidente caso di dissacrazione totale. Esse furono a lungo condannate come diaboliche e pagane, assieme con altre usanze delle Calende di gennaio, ma queste resistettero tenacemente ai divieti anche se vennero perdendo in grandissima parte quelle antiche funzioni. L’antica sacralità pagana, si riconfigura come nuova sacralità cristiana, il Capodanno, perduti i suoi antichi valori superstiziosi, poteva essere riconsacrato (Cirese 1997 p.126-127).
In tal occasione, a Gratteri, si posticipano i regali di Natale, i doni per i bambini vengono nascosti negli angoli di casa più curiosi e inimmaginabili; è la Vecchia che li ha nascosti frettolosamente, intrufolatasi da qualche fessura. Per far questo però, i piccoli sono stati mandati a letto presto; per loro, il sonno a una certa ora è d’obbligo, e guai a svegliarsi, perché la Vecchia, se venisse scoperta, metterebbe in atto la sua vendetta: bucare gli occhi ai curiosi.
La figura della Vecchia rappresenta un capro espiatorio, a lei si attribuiscono tutte le colpe della comunità, viene derisa pubblicamente “Vecchia Befana brutta, Vecchia Befana, nesci sta sira, nesci di ntè sta tana…” e ancora
“Avi n’annata sana chi sini n’chiusa, piglia la scecca e scinni n’cerca di fusa…Vecchia Vicchiazza brutta, Vecchia Vicchiazza, scinni sta sira, scinni nta nostra chiazza…. E nun ti mariti nò, schietta arristari tiròllallalla…”.
La Vecchia però, dopo aver distribuito i suoi doni, deve necessariamente ritornare nella sua grotta e restarci per tutto l’anno, affinché l’equilibrio infranto possa essere ripristinato con l’inizio di un nuovo e fecondo anno.
Ci sunnu i patri pronti cu li vastuna, s’on lassi e picciriddi li tùrtigliuna… “L’occhi ti sgrifamu Vicchiazza brutta, s’on scarghi u sceccu e torni a la tò rutta…”.
Oggi il corteo della manifestazione si conclude nella Piazza principale dove alcuni giovani intrattengono gli abitanti e i turisti con la “Vanniata di festi di l’annu”, il processo dei fatti accaduti durante l’anno.
Con ironia e sarcasmo si fa la parodia dei fatti e dei personaggi locali e nazionali che durante l’anno hanno fatto parlare di sé. Allo scoccare della mezzanotte, poi, si dà il benvenuto al nuovo anno con un brindisi collettivo, con la distribuzione dei dolci tipici e la condanna al rogo di un fantoccio di paglia rappresentante “l’anno vecchio”, tra spari di petardi e giochi d’artificio.
Il fantoccio che i ragazzi vestono da uomo, portato dai ragazzi durante il giro del paese, viene preso a pugni e alla fine impiccato e bruciato come un capro espiatorio. Buttitta osserva: il fuoco ed il rogo di fantocci, marcano con la loro presenza, da un lato l’eliminazione del tempo consumato, dall’altro l’aprirsi di un tempo nuovo; per tal motivo queste tracce possono essere ricondotte a riti di passaggio per rifondare il ciclo dell’anno e con esso la vita stessa della comunità” (Buttitta 1984, p.137).
Nel fantoccio che muore sul rogo vengono distrutte le colpe accumulate dalla società, colpe che gli uomini non avrebbero potuto non commettere, poiché ogni atto compiuto sulla natura e sul suo ordine, è comunque una violenza sacrilega. Lo scopo ultimo di tutti questi riti invernali potrebbe essere pertanto alla distruzione del tempo consumato, di cui il fantoccio è simbolo (Buttitta 2002, pp. 136-137).
La manifestazione oltre a interessare i visitatori coinvolge tutta la popolazione che partecipa ai canti e ai balli che si tengono fino allo scoccare della mezzanotte; momento privilegiato di socializzazione e di rafforzamento del senso di appartenenza alla comunità.
Testo tratto dalla Tesi di Laurea di M.Fragale “Il ciclo dell’anno a Gratteri. Aspetti devozionali e significato antropologico”, Università degli Studi di Palermo – A.A. 2006/07.
``Vecchia Befana``
Vecchia Befana brutta, vecchia Befana,
nesci sta sira, nesci di ntè sta tana……
Vecchia vicchiazza brutta, vecchia vicchiazza, scinni sta sira, scinni nta nostra chiazza……
Avi n’annata sana chi sini n’chiusa, piglia la scecca e scinni
n’cerca di fusa……
Prima chi tu scinni, jttannu vuci,
piglia lu saccu chinu di cosi duci….
Quannu tu arriverai ntè stu paisi,
furria casi casi purù p’un misi……
Ci sunnu i patri pronti cu li vastuna
s’on lassi e picciriddi li tùrtigliuna……
L’occhi ti sgrifamu vicchiazza brutta,
s’on scarghi u sceccu e torni
a la tò rutta…..
``Viva, viva lu Capudannu``
Rit: Viva, viva lu Capudannu
senza lastimi e senza affannu.
Viva, viva lu Capudannu
allegria pi tuttu l’annu.
Grattalusci chi siti in risbigliu
ascutati stu nostru cunsigliu
pi sta sira manciati e biviti
ca dumani aluvoti nun ci siti. Rit…
Picciriddi chi stati durmennu
di nto lettu scinniti currennu
chista è l’ultima notti di l’annu
c’è la Vecchia chi vvà passannu. Rit...
Vi viviti un bicchieri di vinu
vi quàdia e vi nforza lu schinu
cinni dati un bicchieri a zza Nina
ca travaglia sira e matina. Rit…
E passannu di sutta u palazzu
senti sempri nu granni fitazzu
e cc’è genti chi ddà nun ci camina
ca si scanta di la china. Rit…
U sapiti cari paisani
c’ò macellu scannunu i cani
e i viteddi ditti di latti
nun sunnu autru chi carni di jàtti Rit…
A menzannuotti viniti nta chiazza
ci sarà nna ranni fistazza
a la genti chi va sparrannu
ci vanniamu li festi di l’annu. Rit…
``Quannu nascisti tu``
Quannu nascisti tu làdia Vicchiazza…
Ci foru centu negli e trimulizzi…
Lu suli s’annigliò cu nna nigliazza…
Lu risinu cadìa stizzi stizzi…
Rit: E nun ti mariti nò
nun ti mariti nò
e nun ti mariti nò
schietta arristari tiròllallalla…
Facciazza d’un crivazzu arripizzatu…
spaddazzi di na mula di trappitu…
taliàti genti tutti a Santu Vitu…
niscìu la Vecchia ncerca di lu zitu…
Rit…
Vitti affacciari lu suli di notti…
e quattru muti jucari a li carti…
iò vitti siminari favi cotti…
si vitturu ntè Marzu ficu fatti…
Rit…
Aricchi surdi e cantuneri muti…
speramu ca nun lu sannu i Lascaroti…
la Vecchia vvà spartennu cosi duci…
si voli fari amici i Grattalusci…
Rit…