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La Matrice Vecchia e le tombe dei Ventimiglia

La Matrice Vecchia è dedicata all’Arcangelo Michele e fu costruita verso la prima metà del sec. XIV accanto all’antico castello dei principi Ventimiglia. In origine infatti, doveva essere una loro cappella personale, posta dietro l’attuale altare maggiore, ove è collocata l’immagine della Madonna del Rosario.

Nella parete destra si scorge ancora quella che era un’apertura, che comunicava direttamente con le stanze dei Baroni, dentro la periferia del loro castello (Scelsi, op. cit.). Si presume dunque che ci fossero dei passaggi sotterranei che dal castello arrivassero direttamente alle cappelle private dei Principi. Ancora oggi quella via, ai piedi del vecchio castello e dietro il campanile, viene chiamata Archeria, per un’originaria struttura ad archi che immetteva in piazzetta Scala.

L’interno della Chiesa è a due navate, divise da cinque pilastri; la navata principale è coperta da un’unica volta a botte, quella laterale invece da un soffitto ligneo, anche se, da alcune tracce poste nelle pareti laterali, si evince la preesistenza di una volta a crociera. Nell’altare maggiore oggi troneggia la Madonna col bambino, opera della grande scuola gaginiana e proveniente dalla chiesa di Nostra Donna del Rosario chiamata anche di Santa Maria in Castro, che era ubicata nell’area del castello.

Fino al 1873, al posto dell’attuale nicchia, che ospita l’immagine marmorea della Vergine del Rosario, vi era ubicata la custodia delle SS. Reliquie – oggi posta nella Nuova Matrice – con incisa la data del 1648 e intarsiata in marmo policromo voluta dal barone Lorenzo Ventimiglia e dalla pia consorte Maria Filangeri.

La custodia con cancellata in ferro custodisce ancora oggi delle preziose reliquie di Gerusalemme: le SS. Spine della corona di Cristo, un pezzetto della clamide di Gesù, un frammento di legno della croce, un dente molare di Sant’Anna e un frammento di osso del costato di San Giacomo Apostolo (Scelsi, op. cit.).

Nell’antica abside retrostante, occlusa purtroppo dall’edificazione dell’attuale altare maggiore, si trovano due interessanti monumenti funebri in marmi mischi all’interno dei quali riposano le spoglie di Maria Filangeri, moglie di Lorenzo Ventimiglia (†1650), e del nipote Gaetano, principe di Belmonte (†1744).

Le epigrafi sulle tombe dei Ventimiglia presenti nella vecchia Matrice di Gratteri sono certamente di grande interesse storico. Esse rappresentano, infatti, un significativo documento su una delle dinastie nobiliari che detennero di fatto per un arco di tempo plurisecolare il potere feudale in Sicilia, nonché il nodo dell’intreccio dinastico che portò la baronia gratterese, inizialmente appendice cadetta della contea di Collesano, a divenire parte integrante e non secondaria del principato di Belmonte.

Epigrafi

La prima epigrafe è quella che si trova sul monumento funerario dedicato alla baronessa Maria Filangeri, moglie di Don Lorenzo Ventimiglia, il quale resse la baronia di Gratteri dal 1642 al 1675, essendo contemporaneamente barone di Santo Stefano di Bivona (o di Quisquina).

D. O. M. S
MARIAE FILANGERIAE
VIGINTIMILLIUM ET COLLISANI COMITISSAE
GRATTERII ET SANCTI STEPHANI DOMINAE
LAURENTIUS DE VIGINTIMILLIBUS
CONIUGI: NATALIUM SPLENDORE ∙ ELEGANTIA ∙
INTEGRITATE ∙ RELIGIONE ∙ MUNIFICENTIA
IN DEUM ∙ IN SUOS ∙ IN OMNES PENE SINGULARI
AMORIS OFFICII ERGO ∙ P.C. ∙
AN. SAL MDCL.

Data l’importanza documentale della epigrafe, non è superfluo aggiungerne la traduzione in italiano:

D.O.M.S. (Deo optimo maximo sacrum: consacrato a Dio ottimo e massimo)
LORENZO DI VENTIMIGLIA
ALLA MOGLIE MARIA FILANGERI
CONTESSA DI VENTIMIGLIA E DI COLLESANO
SIGNORA DI GRATTERI E DI SANTO STEFANO:
QUASI UNICA PER LUSTRO DI NATALI,
RAFFFINATEZZA, ONESTA’, RELIGIOSITA’, MUNIFICENZA
VERSO DIO, VERSO I SUOI, VERSO TUTTI.
PER AMORE E PER DOVERE DI PIETA’ QUINDI DEDICO’
NELL’ANNO DELLA SALVEZZA 1650.

Sul titolo di contessa attribuito alla signora Filangeri, c’è da dire che i baroni di Gratteri se ne fregiarono sempre, anche se per ragioni di divisioni ereditarie la contea di Collesano ebbe un corso che escludeva da sé la baronia gratterese.

L’altra tomba presente nella chiesa è quella dedicata al nipote Gaetano (1662-1724), principe anche di Belmonte. Titolo, quest’ultimo, acquisito dal padre di lui, Francesco, nel 1658, dopo il matrimonio con l’ereditiera Donna Ninfa d’Afflitto.

Su quello che può essere considerato un vero e proprio monumento funerario si leggono due epigrafi. Una, quella inferiore, a copertura della tomba, dove si traccia un breve profilo del defunto e se ne sottolinea la volontà di essere sepolto nel luogo dove meglio può essere accolta la testimonianza del suo amore per i sudditi.

L’altra, in alto, murata a venti anni dalla morte, nella quale si tesse un dettagliato elogio delle sue non comuni virtù. Qui vengono riprodotte di seguito nell’ordine secondo cui sono disposte sul monumento, sia nel testo latino che nella versione in lingua italiana.

 

D . O . M
MORS NON HIC IN TERRAM DEIECIT, SED EXTULIT GAETANUM
XX:M?LIA PRINCIPEM BELMONTIS, GRATTERY, LASCARIS
ET S. STEPHANI: NAM DUM EI MORTALE SPOLIUM DETRAXIT EIUS DECORA
EMICUERE: HIC FAMA MORUM PERORAT, INTEGRITAS, PRUDENTIA DECLA-
MAT, COMITAS, LIBERALITAS, HUMANITAS, EQUANIMITAS CORUSCAT.
HEU PAUPERES MECENATEM PERDIDISTIS. EIUS FRATER D. PETRUS XX: C. R.
FACTA EXCOGITANS IMPRIMI MARMORE CURAVIT A. D. MDCCXLIV.

D. O. M
La morte non calò nella terra (seppellì) qui, ma innalzò Gaetano
Ventimiglia Principe di Belmonte, di Gratteri, di Lascari
e di S. Stefano: infatti, mentre essa prese la sua spoglia mortale, i suoi titoli di gloria
spiccarono: qui la fama dei suoi (buoni) costumi parla, l’integrità e la prudenza declamano,
la affabilità, la generosità, la mitezza e la equanimità brillano.
Ohimè, voi poveri avete perduto un mecenate. Il fratello di lui Don Pietro Ventimiglia,
constatando le opere di così straordinario congiunto, curò che fossero impresse nel marmo
nell’anno del Signore 1744

D. O. M
D. CAIETANUS DE VIGINTIMILLIIS ET AFFLITTO
PRINCEPS PULCHRIMONTIS, BARO CRATTERIS ET S. STEPHANI
POST CELIBEM OMNINO VITAM IN QUA TAMEN FILIORUM
LOCO PAUPERES EGENOSQUE PERAMAVIT, SUISQUE SUMP-
TIBUS ALUIT LARGISSIME, DIEM EXTREMUM OBIIT
XXIII IULI AN: MDCCXXIV AETATIS ANNO LXII
ATQUE HIC MORTALITATIS SUAE EXUVIAS
CONDITAS VOLUIT,
SUBDITIS SUIS, QUIBUS APPRIME VIXIT,
PATERNI AMORIS IMMORTALE MONUMENTUM.

D. O. M
Don Gaetano di Ventimiglia e d’Afflitto,
principe di Belmonte, barone di Gratteri e di S. Stefano,
dopo una vita di assoluto celibato, durante la quale tuttavia al posto dei figli
ebbe molto cari i poveri e i bisognosi, che a proprie spese
sostenne con somma generosità, giunse alla fine dei suoi giorni,
il 23 luglio 1724 a 62 anni di età,
e qui le spoglie della sua vita mortale
egli volle che fossero composte;
ai suoi sudditi, per i quali innanzitutto visse,
perenne memoria del suo paterno amore.

Nel presbiterio, sovrastato da una volta a crociera decorata con motivi vegetali nel 1905 ex magno pietatis opere, si possono ammirare due tele: una nel lato destro, che raffigura San Leonardo di Noblat mentre intercede per la liberazione dalle catene del maligno, e l’altra nella parte opposta, raffigurante la Madonna della Sapienza (entrambi provenienti da chiesette non più esistenti).

Nella cappella laterale sinistra invece, dedicata a San Giuseppe, era situato il ciborio del SS. Sacramento del 1494, probabile opera di mastro Giorgio da Milano, anche quest’ultimo divelto e trasportato alla nuova Matrice alla fine del sec. XIX.

La statua lignea dorata di San Giuseppe invece, proviene da una chiesetta omonima che si trovava in passato nell’area del castello. Tale immagine, scolpita da Francesco Reyna e dipinta da Vincenzo Di Giovanni (gli stessi autori della statua di Sant’Andrea Apostolo nell’omonima chiesa) fu commissionata da Antonino Mogavero verso gli anni ottanta del sec. XVII (Scileppi, op. cit.). All’interno della medesima cappella si trovano due tele che raffigurano rispettivamente l’Ultima Cena e Gesù Bambino sulla riva di un fiume che pesca i cuori (entrambi del 1767).

Altre due piccole tele, a forma ovoidale, si trovano alle spalle di San Giuseppe: nel lato destro il Cuore di Gesù (dove si legge ex devotione magister Dominici De Maio, anno 1767), in quello sinistro il Buon Pastore dello stesso stile dell’altra.

La presenza di queste due tele, raffiguranti soggetti cristologici-eucaristici, danno conferma che nel catino absidale della medesima cappella, vi fosse collocata la marmoria custodia eucaristica oggi ammirabile nella Cappella del SS. Sacramento della Matrice Nuova. L’edificio chiesastico ospita diverse cappelle con relative immagini sacre.

Nella parete del lato destro, accanto alla piccola statua di Santa Caterina da Siena, vi è la cappella con una tela raffigurante San Domenico, il fondatore dell’Ordine dei Predicatori. Più avanti vi è la cappella con la statua lignea, presumibilmente della fine del cinquecento, raffigurante la Madonna del Soccorso detta “Madonna della mazza”, proveniente da un’omonima chiesa ubicata nel quartiere di lo spitali ma oggi non più esistente.

Segue una piccola immagine dell’Arcangelo Michele e un pulpito di legno pregiato che sullo schienale reca scolpito lo stemma dei Signori Ventimiglia. Così, come nel piulpito della chiesa Madre, anche qui vi è un braccio sporgente che regge in mano un prezioso Crocifisso d’avorio del sec. XVII con un cartiglio in cui vi è la scritta – I.N.R.I. Gesù Nazareno Re dei Giudei – in tre lingue: latino, greco ed ebraico.

Nella parete del lato destro è dedicata a scene della Passione del Signore: la cappella con la tela raffigurante la Flagellazione di Cristo alla colonna, fatta realizzare da Maria Culotta nel 1719; la cappella del Crocifisso con ai piedi la Vergine Addolorata e infine, l’Urna con il Cristo morto dalle braccia snodabili, statua lignea della seconda metà del seicento, attribuibile ai maestri della scuola di Frate Umile da Petralia.

Sopra l’urna vi è una tela che ritrae la Deposizione di Cristo dalla Croce, stilisticamente molto simile alle opere del Caravaggio con i tipici giochi del chiaroscuro. In passato – come si evince da antichi documenti del clero di Gratteri custoditi all’Archivio di Sato di Palermo – vi era anche un altare dedicato a San Lazzaro e Santa Maria Maddalena, di cui ancora oggi si conserva una piccola tela, imitazione di quella ritrovata del Caravaggio.

Sopra il portone dell’ingresso infine, vi è una cantoria lignea che ospita il più antico organo custodito a Gratteri, quello realizzato nel settecento. Accanto alla chiesa, dentro la cinta dello scomparso castello dei Ventimiglia, sorge una torre campanaria con una cuspide ottagonale che ospita sette campane di diversa grandezza (provenienti da diverse chiese), rinnovata nel 1936 dall’emerito cittadino Carmelo Cirincione.

Una di queste campane reca la data del 1390; un’altra quella del 1587, fatta realizzare per devozione a San Leonardo da Pietro e Carlo Ventimiglia; quella del Rosario venne realizzata nel 1712. Nella chiesa vi hanno sede le due Confraternite più antiche di Gratteri: quella del SS. Sacramento, sotto il titolo di San Giuseppe, e quella della Madonna del Rosario fondata nel 1570.

Informazioni tratte da:

Scelsi I. Gratteri. Storia, cultura e tradizioni, Palermo 1981.
Scileppi S., Cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Vita ecclesiale a Gratteri (PA), Tip. Le Madonie 2009.
Terregino G., Chiesa della Matrice Vecchia e i Baroni Ventimiglia, in gratteri.org 2020.