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Storia del cenobio di San Giorgio: unica dimora dei Premostratensi in Sicilia
La Storia
Come ha evidenziato uno degli ultimi studiosi che si sono occupati dell’abbazia di San Giorgio in Gratteri, essa è senz’altro un documento unico della cultura e della sensibilità dell’epoca normanna all’apice del suo splendore (AGOSTARO F., San Giorgio in Gratteri. La storia intrigante di un monumento normanno, Ed. S. Marsala, Cefalù 2019, p. 9).
In realtà, per comprendere l’importanza di tali parole, bisognerebbe risalire ad un periodo della storia medievale assai complesso, il secolo XII, ed al ruolo determinante che ebbe il duca Ruggero d’Altavilla (fondatore del cenobio di Gratteri) nel consolidare la pace appena sugellata tra il padre Ruggero, primo Re di Sicilia, e il legittimo pontefice Innocenzo, che lo aveva da poco perdonato per essersi schierato a favore dell’antipapa Anacleto (DI TELESE A., Ruggero II re di Sicilia, Cassino, Ciolfi, 2003, trad. it. di Vito Lo Curto; AUBÈ P., Ruggero II re di Sicilia, Calabria e Puglia: un normanno nel Mediterraneo, Milano 2006).
Difatti, alla morte di papa Onorio II (1130) uno scisma si aprì nella Chiesa di Roma per la successione al trono pontificio che si risolse con una duplice elezione: una parte dei cardinali elesse Gregorio Papareschi, che prese il nome di Innocenzo II, ma la rimanente parte ritenne illegittima tale elezione e procedette ad un’altra, eleggendo il cardinale Pietro Pierleoni, che prese il nome di Anacleto II.
Entrambi i papi furono consacrati ed incoronati nel medesimo giorno, il 23 febbraio. Ad ogni modo, quasi tutta l’aristocrazia romana, la maggioranza del basso clero ed il popolo di Roma riconobbero come papa legittimo Anacleto II tanto che, in maggio, Innocenzo II dovette riparare in Francia (BLOCH H., Montecassino in the middle ages, Roma 1986, p. 951–952).
Tuttavia, decisivi per il verdetto circa la legittimità dei due pontificati non furono gli argomenti giuridici, ma l’atteggiamento del mondo cattolico, che riconobbe quasi universalmente come pontefice Innocenzo II. I suoi sostenitori più importanti furono Bernardo di Chiaravalle, abate di Clairvaux, Norberto di Prémontré e il re di Germania Lotario II.
Soprattutto sotto l’influenza di Bernardo, quasi tutti i monarchi ed i vescovi europei riconobbero come Papa l’esule Innocenzo II. I pochi signori laici che inizialmente avevano sostenuto Anacleto abbandonarono a poco a poco la sua causa, ritenendola persa. Solo il normanno Ruggero II rimase dalla sua parte facendosi incoronare Re di Sicilia da Anacleto II la notte di Natale del 1130 nel duomo di Palermo (PIAZZONI A.M., Storia delle elezioni pontificie, p. 128).
Fu in quell’anno che venne fondato il vescovato di Cefalù e si pose la prima pietra per la costruzione della sua cattedrale, coeva alla chiesa di S. Giovanni degli Eremiti e alla Cappella Palatina di Palermo. La costituzione del regno di Sicilia fu seguita da un decennio di guerre, nel quale Ruggero II ebbe contro di lui coalizzati il pontefice Innocenzo II, l’imperatore Lotario II di Supplimburgo, il basileus Giovanni II Comneno, le repubbliche di Genova, Pisa e Venezia.
Ad ogni modo, il Normanno riuscì a sconfiggerli tutti fino ad un ultimo decisivo scontro con le truppe del pontefice nel 1139 nei pressi di San Germano. Le cronache dell’epoca riferiscono che durante la battaglia, Ruggero trovò rifugio nella roccaforte di Galluccio sul Garigliano, che venne assediata a sua volta dalle truppe pontificie.
In quell’occasione, Innocenzo cadde prigioniero a causa di un’imboscata tesagli proprio dal figlio primogenito di Ruggero, che lo condusse nel castello di Mignano al cospetto del padre. Si racconta che, in quell’occasione, il Normanno si gettò ai piedi del Pontefice, chiedendogli perdono.
Tre giorni dopo, il 25 luglio 1139, con il Trattato di Mignano, Innocenzo confermò il padre come Re di Sicilia, Ruggero come duca di Puglia e il terzo figlio, Alfonso, come principe di Capua (HOUBEN H., Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra oriente e occidente. Laterza ed., Roma-Bari 1999, pp. 100-126; DI CARPEGNA FALCONIERI T., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 62, 2004).
Senz’altro, un ruolo determinante per la riappacificazione tra il Re e il Papa fu quello assunto dal figlio primogenito Ruggero (fondatore del cenobio di Gratteri), un principe che seppe gestire il potere con assennatezza e animo, nonostante la sua giovane età. Lo storico dell’epoca Romualdo Guarna su questo non aveva dubbi, definendolo “vir quidem speciosus et miles strenuus, pius, benignus, misericors et a suo populo multum dilectus” (GUARNA R., Chronicon (a.M. 130 – a.C. 1178), a cura di GARUFI C. A., (Rerum italicarum scriptores, 127), Città di Castello, 1914, pp. 1–96).
Fu in questo scenario di pace appena raggiunta tra il Normanno ed il Pontefice che trovò collocazione la fondazione del priorato di San Giorgio in Gratteri, per opera di Ruggero, duca di Puglia, figlio maggiore di Re Ruggero II, come si evince da un diploma di Tancredi del 1191 con il quale si confermano donazioni e privilegi già concessi e si fa dono del casale di Amballut (ROLLUS RUBEUS, op. cit., pp. 64-65, manoscritto f. 26 in Tabulario Belmonte trascritto anche in GARUFI C.A., I documenti inediti dell’epoca normanna in Sicilia; parte I; tip. Lo Statuto, Palermo 1899, pp. 247-248).
Per quanto riguarda la scelta del sito, essa potrebbe essere giustificata dal fatto che il territorio di Gratteri ricadesse proprio all’interno del vescovato di Cefalù, sede morale del Regno, tanto che Ruggero stesso aveva fatto collocare due sarcofagi all’interno della basilica cattedrale che avrebbero dovuto contenere le sue spoglie dopo la morte (VALENZIANO C., La basilica cattedrale di Cefalù nel periodo normanno; in “O teologo”, V/n. 19, Palermo 1987).
Ad ogni modo, altri particolari interessanti vengono fuori anche da un altro significativo documento, il diploma di Lucio III del 1182 che permette di stabilire indicativamente la data di fondazione del monastero visto che viene riportato che quest’ultimo ebbe il riconoscimento e la protezione di due papi Innocenzo II e Lucio II, dunque si presume, dato che il primo papa morì nel 1143, che la sua costruzione ebbe inizio intorno al 1140 (ROLLUS RUBEUS, op. cit. originale in Tabulario Belmonte, manoscritto 37 in PIRRO R., Sicilia Sacra. Disquisitiones et notitiis illustrata, a cura di MONGITORE A. Tomo II, Palermo 1733, p. 839 3 ss., già in AGOSTARO F., p. 19).
Un’altra informazione rilevante che è possibile desumere dalla lettura della suddetta fonte riguarda il significativo insediamento, già in quella data, dei canonici Premostratensi, un ordine religioso appena fondato nel nord della Francia che ebbe in Gratteri la loro unica dimora in Sicilia (BACKMUND N., Monasticon premostratensis, I, Strabing 1951, p. 874).
Il diploma di Lucio III, infatti, costituisce la risposta alle suppliche del Priore Giovanni e dei suoi confratelli della chiesa di San Giorgio con cui il papa accoglie le loro richieste evidenziandone il legame con il passato e li rassicura con la conferma dettagliata di tutti i possedimenti e i benefici concessi dai predecessori (AGOSTARO F., op. cit. p. 19).
Per tale motivazione, alcuni studiosi che si sono occupati del cenobio di Gratteri – come lo stesso Backmund, canonico premostratense – sollevano un dubbio circa le origini dell’abbazia ammettendo la possibilità di una fondazione avvenuta per opera di un differente ordine, forse gli stessi agostiniani di Cefalù.
L’autore sottolinea che “non est certum, utrum ab initio fuerit ordinis nostri, an fuerit primo prioratus dependens ab ecclesia cathedrali Cephaludana, cuius capitulum eodem tempore factum est regulare ord. Sti. Augustini. Anno 1182 iam certe fuit Ord. Praem., Lucius III PP.” (BACKMUND N., pp. 374-396).
Lo studioso Capitummino arriva ad avallare nel 2010 l’ipotesi di una prima fondazione cistercense (CAPITUMMINO F., L’abbazia normanna di S. Giorgio a Gratteri. La prima fondazione cistercense nel Regno di Sicilia?, Tesi di Laurea Triennale, Università degli Studi della Tuscia, 2008/09).
Queste considerazioni sono nate dal fatto di individuare degli elementi stilistici cistercensi osservabili nelle caratteristiche strutturali dell’edificio e delle fonti ad esso collegabili, come alcune lettere di san Bernardo. Secondo lo studioso, l’argomentazione, sviluppata attraverso la lettura dei documenti e verificata attraverso l’architettura, è suffragata dalla lettura unitaria di tre circostanze interconnesse di cui il duca Ruggero è figura cardine: l’arrivo della prima comunità cistercense nel Regno normanno al seguito di Elisabetta di Champagne intorno al 1140, il conseguente matrimonio tra Elisabetta e il duca Ruggero, e la fondazione di San Giorgio da parte del duca Ruggero negli stessi anni.
Pertanto, l’ipotesi che San Giorgio abbia potuto costituire la primogenitura cistercense in Sicilia non si riduce ad un mero discorso stilistico, ma si inserisce coerentemente nel quadro degli eventi successivi al trattato di Mignano (CAPITUMMINO F., L’abbazia normanna di S. Giorgio a Gratteri. La prima fondazione cistercense in Sicilia? In “Convivium” IV/2, 2017 pp. 32-51).
In realtà, sia Norberto di Xanten (fondatore dell’ordine premostratense) che Bernardo di Chiaravalle (celebre abate cistercense), furono due figure importantissime del sec. XII, tanto che il riconoscimento universale di Innocenzo e la vittoria finale su Anacleto, sarebbero da ascrivere principalmente all’operato di entrambi (DI CARPEGNA FALCONIERI T., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 62, 2004).
Ad ogni modo, come ha osservato lo storico Salvatore Fodale, l’intento principale di Ruggero II era quello di consolidare il suo potere anche attraverso la sostituzione del clero greco-ortodosso legato a Bisanzio con quello latino su cui poteva esercitare il diritto di “legatia” (FODALE S., Fondazione e rifondazioni episcopali in Sicilia da Ruggero II a Guglielmo III, in Potere e società in Sicilia – L’età normanna. Atti del convegno internazionale: Cefalù 7-8 aprile 1984 a cura di Gaetano Zito, Ed. SEI, Torino 1995, pp. 51-59).
Durante l’epoca normanna e poi in quella sveva il monastero e la sua chiesa furono dotati di diversi benefici, tra cui casali, mulini, terre e villani per il sostentamento dei suoi monaci. Pertanto, se all’epoca della fondazione viene considerato “pauper et esiguo” divenne nel secolo XIII “cospicuo et dives” (BACKMUND N., op. cit. p. 874, già in AGOSTATO F., p. 21).
Ad ogni modo, la presenza di un abate nel XIII secolo, fa di certo pensare che il priorato fosse diventato abbazia forse perché era passato all’ordine degli Agostiniani (AGOSTARO F., op. cit., p. 21). Difatti, una lettera di papa Alessandro IV del 15 marzo 1257 dimostra che il monastero già in quella data era passato ad altro ordine, quello Agostiniano ed era stato aggregato verosimilmente alla cattedrale di Cefalù (DE LOYE J. – DE GENIVOL P., Les registres d’Alexandro IV, Tomo II, Paris 1917, Doc. 1913, p. 591).
A partire dal 1300 poi, la chiesa di San Giorgio e il suo feudo passarono agli “Ospedalieri”, detti anche Giovanniti, ordine religioso militare, nato in funzione delle crociate, “formato da una minoranza di frates milites che si dedicavano alla difesa dei luoghi santi e da altri confratelli che risiedevano in precettorie, conosciute anche come commende” (SALERNO M. – TMASPOEG K., L’inchiesta pontificia del 1373 sugli Ospedali di S. Giovanni di Gerusalemme nel mezzogiorno d’Italia, Bari 2008 già in AGOSTARO F., p. 22).
Queste ultime ebbero una funzione anche economica, quella di produrre reddito in forma di tasse da inviare in Terra Santa per il sostegno delle loro attività. L’Ordine, infatti, aveva come compito principale quello di assistere i “viaggiatori di Dio”, malati o bisognosi. A tal fine era stato fondato un ospedale a Gerusalemme dedicato a San Giovanni Battista e fu per tale motivo che i membri dell’Ordine presero anche il nome di “gerosolimitani e ospedalieri” (AGOSTARO F., op. cit., p. 22).
Tuttavia, anche se quello di San Giorgio fu un beneficio degli Ospitalieri di Gerusalemme, che dipendevano direttamente dalla Sede Apostolica, le sue rendite venivano gestite dal vescovo del luogo che adempieva legittimamente alle disposizioni papali oppure affidate a degli amministratori delegati, come si evince da una inchiesta sui beni dei Giovanniti nel Mezzogiorno d’Italia del 1373.
Dalla lettura del documento infatti si deduce che, in quell’anno, la chiesa di San Giorgio aveva come precettore un laico di nome Pagano, di circa 40 anni e disponeva di un reddito annuo di 2 once d’oro (SALERNO M. – TMASPOEG K., op. cit., pp. 271-274 già in AGOSTARO F., pp. 22-23).
Dopo una serie di vicissitudini che videro coinvolto don Antonio Ventimiglia, Barone di Gratteri, che rivendicava per sé il diritto di esercizio di patronato in un periodo di anarchia feudale, la chiesa venne assegnata per breve periodo agli agostiniani per poi nel 1414 ritornare in commenda ai Giovanniti assieme a quella di Marsala (FODALE S., op. cit. già in AGOSTRARO F., p. 25).
Nel 1511 l’Abbazia di San Giorgio risultava essere sottoposta al diritto di patronato regio (BARBIERI G. L., Beneficia ecclesiastica, a c. d. PERI I., V. I (Vescovati e abazie) ed. Manfredi, Palermo 1952, p. 218). Lo status di “precettoria” o commenda in cui l’insediamento monastico si venne a trovare, affidato per secoli a religiosi e laici senza scrupoli che avevano come unico interesse lo sfruttamento dei suoi beni, produsse il progressivo decadimento strutturale fino alla distruzione e alla conseguente spoliazione del manufatto (AGOSTARO F., op. cit., p. 26).
Recentemente, nuovi e significativi documenti relativi all’abbazia di San Giorgio di Gratteri sono stati individuati nell’archivio delle commende dei Cavalieri di Malta della Magione (AOM 6098, cc. 60 segg.). Da quanto si evince da una prima consultazione dei documenti, quella di Gratteri apparteneva in età moderna alla Commenda di San Giovanni Battista di Modica Randazzo, una delle più importanti e cospicue di Sicilia.
A Gratteri (AOM 6098, cc. 60 segg.) la commenda possedeva il feudo di san Giorgio, esteso 12 arate, sito nella contrada omonima, con chiesa diroccata “in mezzo alla quale vi è una piccola chiesa” dedicata al Santo cavaliere. Questa già nel 1628 era “ruinata molt’anni or sono” e senza tetto.
La cappella maggiore era rivolta a oriente, verso mezzogiorno era un’altra ‘cappellina’ nuova “voltata a dammuso”, con altare con immagine della Madonna e Crocifisso scolpito in legno, a lato della maggiore era un’altra ‘cappellina’. Nella chiesa si aprivano 12 finestre, 6 per parte. Vi era anche un cortile: un “baglio detto palo, seu carcera dell’animali” (Magione 404, c. 150).
Nel 1665 si afferma che la chiesa è lunga 12 canne, larga 8, e il feudo è esteso 108 salme (Magione 405). Già nel 1720 la chiesa non appare più (Magione 407 (1720) c. 406 segg.). Nella visita del 1749 è ‘rovinata’: si decide di sconsacrarla e di dedicare un altare a S. Giorgio nella chiesa commendale di Modica, o di collocare un quadro del Santo in un altare ivi già esistente (Visita 1749).
Nel 1780 infatti l’edificio non viene definitivamente più ricordato (Magione 409 1780 c. 468) (Vedasi: PACE G., La commenda di Modica-Randazzo, pp. 190-220 in BUONO L., PACE G., La Sicilia dei Cavalieri, Le istituzioni dell’Ordine di Malta in età moderna, Roma 2003).
In effetti, dallo spoglio dei Riveli di beni e anime della terra di Gratteri che si conservano all’Archivio di Stato di Palermo si evince che il feudo di San Giorgio già dal 1616 e fino al 1811 fu sempre tenuto in Commenda della Sacra Religione Gerosolomitana dei Cavalieri di Malta (ASP, Riveli, 1616-1811).
Nei primi dell’800 poi, quando Napoleone soppresse il Priorato, il feudo fu venduto a tale don Pietro Cancila, tenente di Cavalleria della Val Demone (SCELSI I., op. cit., p. 68). Dalla consultazione degli archivi sappiano che quest’ultimo ricoprì la carica di Sindaco di Gratteri dal 1856 al 1860 (ASP, GRANDE ARCHIVIO GANCIA – Atti dello “Stato Civile” – Gratteri 1820-65).
La chiesa, con diversi passaggi di proprietà, rimase in mano ai privati fino agli anni ’80 del 1900 quando l’Amministrazione Comunale di Gratteri decise finalmente di acquisirne la proprietà (AGOSTARO F., op. cit., p. 26). Ad oggi, quella sulla distruzione del monastero di San Giorgio è sicuramente una di quelle storie ancora poco conosciute, le cui motivazioni si alimentano con fantasiose leggende di tesori nascosti e racconti popolari di “malie da parte di quei monaci corrotti massacrati dai paesani per aver abusato di alcune donne” (LANZA A., La casa sulla montagna, Domodossola 1941).
È probabile, dunque, che la Canonìa venne rasa al suolo dai paesani inferociti, ma, successivamente, interessata anche da una vasta frana che ne hanno reso, allo stato, illeggibili la tipologia e l‘icnografia (TULLIO A., Gratteri, Chiesa di San Giorgio. L’indagine archeologica del 1991 in Arte e storia delle Madonie, Studi per Nico Marino, Voll. VII-VIII, Cefalù 2019, pp. 189-195).
L'Architettura
Tenendo presente che l’architettura delle chiese era affidata agli ordini monastici che vi si insediavano, l’Abbazia di San Giorgio conserva le caratteristiche di quella normanna siciliana, arricchita di alcune tipologie decorative nordiche del romanico francese con reminiscenze della cultura araba.
Possiamo addirittura considerare questa chiesa come una delle espressioni più genuine della cultura romanica europea, al pari del duomo di Cefalù e di quello di Monreale. Difatti, le principali fonti di ispirazione nella edificazione di San Giorgio furono la cattedrale di Cefalù, gli stilemi dell’arte romanica e le caratteristiche decorative apportate dagli Agostiniani giunti dalla nord della Francia.
Le rovine della chiesa descrivono un edificio di classico stile romanico, a tre navate e con grande abside centrale, frontale alla porta d’ingresso, senza transetto sporgente ai lati, forma privilegiata anche nell’architettura normanna. L’impianto di tipo basilicale era diviso da due sistemi di colonne o pilastri le cui arcate s’innestavano sulla parete di fondo direttamente accanto all’abside e rimarcavano le linee di convergenza sul santuario (AGOSTARO F., op. cit., p. 30).
All’esterno l’abside è a forma di un grande tamburo diviso da paraste che ne accentuano lo slancio verticale e rimandano in maniera immediata all’abside della cattedrale di Cefalù, come anche il portale, con arco romanico leggermente rialzato all’apice (tanto da far pensare all‘arco ogivale dell‘architettura islamica), coronato da una decorazione a bastoncini sfalsati in modo da comporre il tipico motivo a scacchiera, caro all‘arte normanna (molto frequente in Normandia) che poggia su due capitelli scolpiti, uno con una palmetta e l‘altro con due rosette poggiate su un motivo a stelle (TULLIO A., op. cit., pp. 189-195).
Le caratteristiche del rudere documentano un insieme di contaminazioni culturali ed estetiche, rielaborate nel contesto storico della Sicilia normanna. Pertanto, non sarebbe da escludere una probabile collaborazione di maestranze che si trovavano a edificare le due chiese quasi contemporaneamente (AGOSTARO F., pp. 42-49).
Per quanto riguarda invece gli elementi decorativi, questi, secondo uno studio dell’architetto Giuseppe Samonà, si collegano certamente allo stile del XII sec. nel nord della Francia come la decorazione dei capitelli, a palmetta uno e a stelle geometriche l’altro, oltre che le finestre a strette feritoie e quelle a oculo del prospetto (SAMONA’G., Monumenti medioevali nel retroterra di Cefalù, Stab. Ed. Meridioneli, Napoli 1953, p. 8, già in AGOSTARO F., pp. 31-43).
A tal proposito, come ha evidenziato uno dei massimi esperti in arte sacra, don Crispino Valenziano, le caratteristiche strutturali e architettoniche del complesso monastico di Gratteri sono da ricollegare a quelle del coevo monastero francese della S.S. Trinità in La Lucerne, nella bassa Normandia, ipotizzando uno scambio architetturale tra la chiesa di Gratteri e quella di La Lucerne con cui i premostratensi di San Giorgio avrebbero avuto continui rapporti (VALENZIANO C., La basilica cattedrale di Cefalù nel periodo normanno; in “O teologo”, V/n. 19, Palermo 1987, già in AGOSTARO F., p. 43).
Tra i reperti archeologici affiorati in occasione di alcuni interventi conservativi effettuati nel 1991 tre capitelli di stile nordico che riprendono le decorazioni e lo stile scultoreo a mezzo rilievo come quelli del nord della Francia. Uno di questi è decorato con i motivi a palmetta simili a quello del capitello del portale, il secondo con figure di agnelli sui quattro lati, il terzo con una corona di rose.
Un altro reperto fu rinvenuto negli anni ’80 fuori della chiesa in direzione Est. Si trattava della base di colonne binate scolpita con raffinata fattura. Il manufatto presenta le caratteristiche scultoree delle decorazioni del periodo fondativo. Scolpito a rilievo, un drago (o una salamandra) avvolge la coda le colonne e porta tra le zampe un disco diviso in otto parti da una croce e una X sovrapposte.
Allegoria tutta da decifrare legata probabilmente al Santo titolare. Durante i lavori di restauro, sulla parete Sud interna alla chiesa, erano ancora visibili le tracce di studi geometrici iscritti nel cerchio destinati forse alla decorazione delle finestre a oculo (AGOSTARO F., op. cit. pp. 34-40).
In effetti, dalla relazione tecnica illustrativa scritta in quell’occasione dagli architetti Culotta e Leone, si legge: “si evidenziano disegni, più o meno elaborati, inquadrabili nel repertorio cosmatesco e ricorrenti in numerose chiese medievali in Italia e segnatamente in Sicilia e nella coeva Basilica Cattedrale di Cefalù.
Tuttavia, l‘esistenza di alcune preziose incisioni sullo stucco che ricopriva le pareti, testimonia la presenza in loco di abili disegnatori di cui sono rimaste le tracce che hanno fatto pensare a studi preliminari per la decorazione del pavimento e di alcuni plutei. Si tratta di parti di alcuni disegni ornamentali geometrici, raggruppati all‘angolo sud ovest dell‘aula basilicale, sulla parete sud.
Essi facevano probabilmente parte di un organico progetto decorativo e sono un‘importante testimonianza dell‘uso del disegno nella progettazione medievale” (Arch.tti CULOTTA e LEONE, Relazione tecnica illustrativa per l’acquisto e il restauro della Basilica di San Giorgio, Cefalù, 1988).
Lungo il muro Nord è stato ritrovato l’accesso gradinato alla porta di collegamento della chiesa, che univa quest’ultima alle strutture monastiche dove è un‘ampia zona quadrangolare delimitata da resti di strutture murarie. Ad Ovest, invece, l‘indagine ha rivelato la presenza di un‘area a sepolcreto dove sono state individuate tre tombe monumentali a sarcofago (TULLIO A., op. cit., pp. 194-195).
Infine, la recente ed ultima campagna di scavo del 2020 ha riportato alla luce resti di tombe ed altri significativi reperti della Canonìa quali, ad esempio, capitelli ornati da figure fantastiche di draghi o con figurazione zoomorfa come avvoltoi, rapaci che, nel Medioevo, venivano accostati a simboli divinatori di antichi alchimisti.
In realtà, proprio questi ultimi ritrovamenti, testimonierebbero importanti influenze dello stile scultoreo nordico, che sembrerebbero rapportabili a quelle già presenti nella vicina cattedrale di Cefalù. Oggi l’abbazia fa parte del patrimonio del Comune di Gratteri, con l’obiettivo ambizioso di portare il bene all’interno del sito Unesco arabo-normanno.
Chi erano i canonici regolari Premostratensi?
“Si vedono arrivare in due, perché gli apostoli, nei vangeli, vanno a due a due. Il predicatore è vestito come un eremita, con vesti di lana, pelli di agnello o di capra. Un mantello e un cappuccio completa il suo vestire” (PETIT F., Norbert et l’origine des Prémontrés, Les édiction du Cerf, Paris 1981, pp. 111-113, già in AGOSTARO F., p. 56).
L’ordine dei canonici regolari di Prémontrés, chiamati anche Premostratensi, Norbertini o Canonici bianchi sono stati fondati da san Norberto di Xanten all’inizio del XII secolo agli albori del grande movimento di riforma per il ritorno a un autentico spirito evangelico con riferimento alla regola agostiniana dopo le lacerazioni interne della Chiesa.
Norberto, di nobile famiglia renana, entrò giovanissimo nello stato ecclesiastico e venne nominato canonico della collegiata di Xanten; venne educato nel palazzo arcivescovile di Colonia e visse per alcuni anni alla corte dell’imperatore Enrico V di Franconia (VELVEKENS J.B., Bibliotheca Sanctorum, coll. 1050-1068).
Mentre camminava tra Xanten e Vreden venne quasi colpito da un fulmine: decise di abbandonare ogni mondanità e di entrare nel monastero di San Benedetto a Siegburg. Nel 1115 venne ordinato sacerdote e decise di dedicarsi interamente alla predicazione itinerante e attorno a lui si raccolse un nutrito numero di seguaci.
Papa Gelasio II, che Norberto volle incontrare a Saint-Gilles, approvò il suo stile di vita e papa Callisto II lo raccomandò al vescovo di Laon, che lo invitò a fondare un monastero nella sua diocesi. Il 25 dicembre 1121 Norberto e i suoi seguaci si insediarono a Prémontré (in latino Premonstratum, donde il nome dell’ordine), presso Laon, dove presero i voti e iniziarono a condurre vita comune secondo la regola di sant’Agostino nell’abbazia di Prémontré, che divenne l’abbazia madre del nuovo ordine.
L’ordine premostratense venne approvato da papa Onorio II con la bolla Apostolicae disciplinae del 19 maggio 1126. (VELVEKENS J.B., Dizionario degli Istituti di Perfezione, coll. 720-731). L’ordine si diffuse rapidamente in Francia, nei territori dell’Impero, nell’Europa orientale (soprattutto in Ungheria) e in Palestina, dove i canonici giunsero all’epoca delle crociate. I primi anni della loro storia coincisero con il periodo di maggior splendore, caratterizzato da una stretta osservanza della regola e da un’intensa vita intellettuale, ma tra il XIII e il XIV secolo iniziò la decadenza dei premostratensi (IBIDEM).
Come ha osservato Agostaro, la peculiarità fondamentale dell’ordine era di mettere insieme la vita monastica, fatta di preghiera e lavoro, all’apostolato fuori dal monastero. I premostratensi erano, nell’intendimento del suo fondatore, un ordine religioso fatto di canonici regolari, ma anche di apostoli, predicatori ambulanti che, svolto il loro ministero, tornavano a vivere insieme nella preghiera, nella povertà e nel lavoro (AGOSTARO F., op. cit. p. 54).
I canonici regolari premostratensi, infatti, sono sacerdoti che alla vita contemplativa uniscono l’esercizio del sacro ministero come il culto liturgico, ministero parrocchiale, ma anche educazione della gioventù e apostolato missionario.
Ecco come li descrive F. Petit: “Perché la vita cristiana possa essere aperta sia agli uomini che alle donne Noberto volle che attorno alla chiesa vi fossero delle case duplici: una per gli uomini, chierici e conversi, e una per le donne e i bambini” (PETIT F., La spiritualité des Prémontrés aux XIIe et XIIIe siècles, Paris 1947, in trad., p. 19, già in AGOSTARO F., p. 54).
A Gratteri, ad esempio, secondo alcuni racconti popolari, si narra che i figli dei ceti nobiliari e più abbienti andassero a studiare in passato presso i religiosi di San Giorgio, i quali insegnavano loro la conoscenza delle arti, delle erbe e delle stelle (FRAGALE M., etnotesti 2020).
Ma ad ogni modo, la permanenza dei canonici premostratensi a San Giorgio si protrasse per il tempo limitato di circa 100 anni, quelli che intercorrono tra la fondazione del monastero e la loro scomparsa da Gratteri prima del 1257 (AGOSTARO F., op. cit., p. 50).
Marco Fragale
(Università di Palermo)
Bibliografia:
AGOSTARO F., San Giorgio in Gratteri. La storia intrigante di un monumento normanno, Ed. S. Marsala, Cefalù 2019
ASP, GRANDE ARCHIVIO GANCIA – Atti dello “Stato Civile” – Gratteri 1820-65).
ASP, Riveli, (1616-1811) ricerche a cura di M. FRAGALE
AUBÈ P., Ruggero II re di Sicilia, Calabria e Puglia: un normanno nel Mediterraneo, Milano 2006
BACKMUND N., Monasticon premostratensis, I, Strabing 1951
BARBIERI G. L., Beneficia ecclesiastica, a c. d. PERI I., V. I (Vescovati e abazie) ed. Manfredi, Palermo 1952
BLOCH H., Montecassino in the middle ages, Roma 1986, p. 951–952
CAPITUMMINO F., L’abbazia normanna di S. Giorgio a Gratteri. La prima fondazione cistercense in Sicilia? In “Convivium” IV/2, 2017 pp. 32-51
CULOTTA P. e LEONE G., Relazione tecnica illustrativa per l’acquisto e il restauro della Basilica di San Giorgio, Cefalù, 1988
DE LOYE J. – DE GENIVOL P., Les registres d’Alexandro IV, Tomo II, Paris 1917, Doc. 1913
DI CARPEGNA FALCONIERI T., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 62 (2004)
DI TELESE A., Ruggero II re di Sicilia, trad. it. di Vito Lo Curto Cassino, Ciolfi, 2003
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