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U Ciarmu: riti apotropaici e formule di guarigione della gente di Gratteri
La cultura siciliana è caratterizzata da una grande religiosità che si manifesta nel culto, nelle festività religiose popolari e nelle preghiere. Accanto a questa, in seno alla famiglia, si trovano pratiche magiche infarcite di superstizione, a volte incomprensibili, con lo scopo di esorcizzare il male o di guarire da malanni. Nella maggior parte dei casi, i vari scongiuri e le pratiche magiche utilizzati erano accompagnati dalla rievocazione di nomi e simboli dell’universo cristiano, le giaculatorie.
In passato, il popolo gratterese adoperava molto spesso particolari riti apotropaici e formule di guarigione che venivano tramandati da generazioni. Alcuni tra i più saggi conoscevano, ad esempio, la pratica dello “scanto” – un rituale da attuare per liberare una persona “spaventata” – che si doveva ripetere per tre sere consecutive o in un’unica seduta se veniva praticato il venerdì.
A volte, anche in assenza della persona interessata, utilizzando una sua fotografia. In paese, erano molto conosciuti e rispettati per avere questo dono ‘u zzu Cicciu (Francesco Agostaro, classe 1886) e ‘u zzu Jacuddu (Giacomo Ilardo, classe 1913).
Essi posizionando la loro mano sul petto di quella spaventata – nella zona chiamata “a vucca di l’arma” considerata la soglia tra l’anima e il corpo – cadevano in uno stato di trance apparente per tutta la durata del rito. L’antropologa Guggino, studiando da anni l’immaginario magico-religioso siciliano, osserva: “esito di uno scanto può anche essere l’incorporazione di un essere, ossia di un’anima vagante per l’aere e casualmente di passaggio mentre, in ragione di uno spavento, l’individuo sussulta e apre la bocca ispirando con l’aria anche qualche essere “di passaggio” […].
Varie sono le occasioni di spavento, soprattutto per un bambino: un cane, di norma nero, che abbaia e minaccia di assalire; un gatto, una lucertola, un topo, che improvvisamente appaiono alla vista o si percepiscono nel buio; una scena di violenza, un racconto pauroso, un incidente stradale, qualunque rumore inatteso, violento, come lo sbattere di una porta, i giochi d’artificio, un richiamo improvviso della madre, ad alta voce.
Ma anche i suoi rimproveri, le sue minacce, le percosse, i suoi ritardi, la sua incuria, che provocano nel bambino uno stato di stress […]. In ragione di uno scantu l’equilibrio dell’organismo si spezza, essendo in primo luogo compromesso il sistema nervoso” (GUGGINO ELSA, op. cit., pp. 20-21).
Come nel resto della Sicilia, anche a Gratteri si ricorreva ai ciarmavermi, che venivano considerati dalla comunità, ed essi stessi si auto consideravano, come dei medici empirici, il cui sapere era basato sull’esperienza e sulla saggezza antiche trasmesse dalla tradizione, o su virtù possedute sin dalla nascita o ritualmente acquisite.
Il rituale da loro osservato comprendeva una parte gestuale e una verbale: essi tracciavano delle croci sull’addome dell’interessato e, sputandovi per tre volte sopra, recitavano una preghiera, u ciarmu, a volte adoperando anche una collana con sette spicchi d’aglio, perché “l’agliu ammazza i viermi” (Lucia Cirincione, classe 1923, intervista 2015).
Come approfondisce Guggino: “ai ciarmavermi si ricorre per accidenti, malattie o malesseri di ordine naturale o ritenuti tali: i vermi, ‘a matrazza, una slogatura, gli orecchioni, male allo stomaco o alla testa, otite, ingorgo mammario, insolazione, ittero, irritazione alla pelle, foruncolosi e via di seguito. La maggior parte di questi mali è considerata esito di una paura improvvisa (scantu). […]
L’appellativo ciarmavermi, segnala due cose: che l’efficacia della loro terapia dipende soprattutto dalla recitazione di una formula incantatoria, carmen, in siciliano ciermu, scunciuru; che il male per cui più frequentemente ci si affida alle loro cure è provocato da vermi, in termini medici corrispondente all’ossiuriasi, forma di parassitosi intestinale dovuta, appunto, alla presenza negli intestini di ossiuri, minuscoli vermiciattoli bianchi (Ibidem).
Ad ogni modo, alcune donne di Gratteri conoscevano diverse preghiere da adoperare per la guarigione da vermi, ma, nella totalità dei casi, il ciarmo dello scanto doveva rimanere segreto e poteva essere tramandato solo ad una persona di fiducia e di sesso opposto.
Orazione per i vermi
San Pantaleu, San Pantaliuni / Vui siti lu medicu di nostru Signuri / San Cosma e Dumianu / passatici la vostra manu / e la manu di la Vergini Maria / tuttu lu mali se ne vada via.
Taglia unu / taglia u viermi di lu culu / Taglia dui, taglia tri, tagla quattru, taglia cincu / taglia u viermi di lu cintu / Taglia sei, taglia sietti / taglia u viermi filietti / Taglia ottu / taglia u viermi di lu corpu / Taglia novi / taglia u viermi di lu cori
Luni é Santu / Marti é Santu / Miercuri é Santu / Juovi é Santu / Vienniri é Santu / Sabutu é Santu / e la Duminica di Pasqua / e lu viermi nterra casca / e la Pasqua e lu Pascuni / e abbutta lu virmuni / casca lu vermi a facci abbuccuni.
(Lucia Cirincione, intervista 2007)
Orazione da recitare durante la pratica di vermi
San Pantaleu, San Pantaliuni
Vui siti lu medicu di nostru Signuri
San Cosma e Dumianu passatici la vostra manu
e la manu di la Vergini Maria
tuttu lu mali se ne vada via.
Taglia unu,
taglia u viermi di lu culu
Taglia dui, taglia tri, tagla quattru, taglia cincu
taglia u viermi di lu cintu
Taglia sei, taglia sietti
taglia u viermi filietti
Taglia ottu
taglia u viermi di lu corpu
Taglia novi
taglia u viermi di lu cori
Luni é Santu, Marti é Santu,Miercuri é Santu
Juovi é Santu,Vienniri é Santu, Sabutu é Santu
e la Duminica di Pasqua
e lu viermi nterra casca
e la Pasqua e lu Pascuni
e abbutta lu virmuni
casca lu vermi a facci abbuccuni.
(Lucia Cirincione, classe 1923, intervista 2007)
Orazione per vermi e scanto
San Pietru e San Ciuvanni,
pi lu mari javunu,
cci ‘ncuntrò ‘u Patri Maistru e cci dissi:
“Chi hai Pietru?”
”M’incuntrò ‘n’armalu,
pizzichienti, muzzichienti,
chi mi vulieva muzzicari.”
“E tu Pietru picchì ‘un lu tagliavi?”
“Ieu chistu, Patri Maistru ‘un lu sapieva,
uora ca lu sacciu,
taglia ‘stu vermi e ‘stu scantu d’ogni cantu.
In nomu di Diu e di Maria lu mali pi ‘sti nomi cacciatulu via!
(Antonina Lazzara, classe 1922, intervista 2007)
Come sostiene l’antropologa Guggino, per quanto importanti siano i gesti e i rimedi materiali, è la recita dello scongiuro, la formula incantatoria a dare efficacia al rito (cfr. Guggino 2006, p. 27). Attraverso la dominazione dei giorni della Settimana Santa, è richiamato il periodo della Passione, della Morte e della Resurrezione del Cristo.
Recitando l’historìola ritualmente, l’evento mitico si riattualizza, esattamente come avviene durante la Messa: come un tempo Cristo è morto e risorto, così il fedele che partecipa del rito della messa dal Vangelo alla Comunione, morto in ragione del peccato risorge a nuova vita purificandosi in esso. Lo stesso nella terapia per i vermi: il paziente morto a causa della malattia, da essa guarirà risorgendo a nuova vita (Ibidem).
Tra le altre pratiche a carattere magico-religioso individuate a Gratteri, vi erano anche quelle per scacciar via il malocchio, “l’ucchiatura”, avvertito da eccessiva sonnolenza e stanchezza causate, spesse volte, secondo la suggestione popolare, da un maleficio originato da qualcuno che aveva osservato quella persona con invidia o con troppo scrupolo (Giuseppa Lanza, classe 1922, intervista 2016).
Per questo si ricorreva a delle vecchie donne che tracciavano con la lingua delle croci sulla fronte del malato, salmodiando per tre volte il seguente scongiuro: “Quattru uocchi e quattru pisci / ‘st’ucchiatura sinni sprisci” (Lucia Cirincione, intervista 2007; Antonia Di Francesca, intervista 2007); oppure sputando per tre volte con forza e facendo le corna, cantilenavano una formula apotropaica: “corna-bicorna, capatigliu e capicorna” (Giuseppa Lanza, intervista 2015).
Uno dei riti più comuni che prevedeva delle singolari giaculatorie era quello praticato per il mal di testa causato da insolazione, “u suli”. Tale rituale doveva essere svolto inevitabilmente al tramonto, quando il sole era già calato, anche se, in casi di necessità, si poteva effettuare al buio, con le finestre ben serrate. Si posizionava dunque, sul capo dell’interessato, un panno di colore rosso e sopra di esso un piatto colmo d’acqua su cui si versavano tre gocce d’olio.
Di seguito, si gettava dentro un batuffolo di lino infuocato ricoprendolo all’istante con un bicchiere. Durante tale pratica si recitava per tre volte il Credo oltre che delle peculiari orazioni come la seguente: ‘U suli cuddò / a luna affacciò / Viva Maria e cchi la creò (Giuseppa Lanza, classe 1922, intervista 2016). Delle volte, un simile rito veniva eseguito anche per la pratica dell’ucchiatura in cui la donna, imbevendo il suo dito nell’olio, lo faceva gocciolare per tre volte nell’acqua del piatto; vi sarebbe stato maleficio solo se la macchia d’olio si fosse ingrandita.
Giaculatoria per la pratica dell’insolazione
Gesuzzu beddu mi doli la testa,
mancu l’orazioni puozzu diri.
Mittitimilla nna manuzza ‘n’testa,
chi appi tanti di chiova e di spini.
Tu ‘sti spini pi mia ‘un puoi suppurtari?
Se tu supporti pi mia ‘sti spini ‘ntesta,
l’eterna gloria di Diu t’amu a dari.
(Pater, Ave, Gloria)
(Nina Cirincione, classe 1913, intervista 2007)
Ad ogni modo, in passato, la gente di Gratteri curava particolari malattie utilizzando la medicina popolare e rimedi naturali come l’uso di ortaggi, radici ed erbe medicinali, secondo il caso, facendoli ingerire al paziente (aglio), ponendoli sul suo stomaco (come la foglia di fico d’India per abbassare la temperatura corporea) o posizionandole sopra una ferita (come la piddicàra, erba selvatica utilizzata per le piaghe).
Si pensava ad esempio, che per eliminare delle escrescenze cutanee bastassero tre chicchi d’orzo “uoriu” che, dopo essere stati strofinati su tali fibromi penduli venivano legati a dei sassolini e gettati con la mano sinistra in un pozzo; si diceva che al loro marcire sarebbero caduti via anche quelle protuberanze (Giuseppa Lanza, intervista 2015).
Di certo, non era inusuale ricorrere a quelle donne conosciute in paese per praticare dei massaggi terapeutici in specifiche parti del corpo. C’era la sciogliruppu – che riusciva a tranquillizzare i bambini ancora in fasce che piangevano per qualche indigestione (Maria Santa Matassa, classe 1869) – o altre sagge donne a cui si ricorreva per il mal di schiena (rugnuna caduti), richiedendo la pratica chiamata i bicchirati (Nicoletta Tedesco, classe 1907) o per slogature e lussazioni, i sfilaturi (Giovanna Di Maria, classe 1881).
A Gratteri, alcuni tra i più anziani ricordano ancora a za Vicienza, (Vincenza Sapienza, classe 1889), che curava le infiammazioni alla pelle (come l’herpes zooster, comunemente chiamato: “fuoco di Sant’Antonio”) strofinando due pietre focaie e facendo ricadere le scintille sopra la parte del corpo arrossata.
Delle volte, le pratiche venivano accompagnate anche da particolari preghiere come la seguente: “La notti di Natali murcidda manciai, amara mi parsi e tri vuoti sputai…Sputannu sputannu, lu fuocu astutai” (Giuseppa Di Francesca e Rosaria Di Maggio, intervista 2007).
Altre volte, superstiziose credenze popolari alimentavano le più fantasiose pratiche rituali: per guarire, ad esempio, da un’allergia della pelle chiamata “pitìnia”, si preparava una particolare poltiglia con farina che veniva posta sulla pelle arrossata dell’ammalato, “a farina di tri Nini”: tre persone che portavano il nome di Antonino o Antonina dovevano prendere con la mano sinistra un pugnetto di farina, sputarvi sopra e passarla sulla pelle arrossata dell’interessato (Antonina Lazzara, classe 1922, intervista 2007).
Oppure, per frenare l’ingordigia dei golosi, “allupati”, dopo aver preparato e infornato una grande pagnotta, si collocava innanzi al forno l’affamato e, mentre veniva aperta la porticina del forno (chiamata chiuierna), si pronunciavano per tre volte la seguente cantilena: “Ammarriti lupu ca u furnu è chinu” (Lucia Cirincione, intervista 2007).
Una filastrocca rivolta ai bambini veniva adoperata anche per ristabilire la circolazione dell’arto intorpidito, “addruvigliari lu pedi addurmisciutu”: tracciando delle croci sul piede si canticchiava la seguente cantilena: “Druvigliti pedi ca l’ancilu veni, veni cantannu e veni sunannu tutti li pedi va druvigliannu” (Nina Cirincione, intervista 2007).
Infine, vi erano anche degli uomini che, con un’opposita orazione, riuscivano a far passare il dolore a degli animali con le doglie, “viesti addugliati”. Secondo un’antica tradizione popolare ad alcuni nascituri, tra i più privilegiati, si facevano indossare delle particolari scarpe di cuoio di lupo, “piedi di lupu”; si diceva che questi bambini, da grandi, avrebbero ottenuto dei poteri taumaturgici; infatti, facendo delle croci con il piede sul ventre degli animali o mettendosi in sella ad essi e compiendo dei movimenti circolari riuscivano a tranquillizzarli recitando la seguente orazione: “Sutta lu mpanatuni c’è l’Altissimu Signuri, cu lu gustu di la patruna, lu disgustu di lu patruni, faciti passari a st’armalu lu duluri” (Giuseppe Cirincione, intervista 2015).
Numerose sono a Gratteri le credenze intorno alla morte e alla vita ultraterrena e numerosissime le preghiere che si recitavano in giorni particolari dell’anno. La paura della morte, soprattutto tra le persone più anziane, è sempre incombente, specialmente durante la notte e le ore di sonno. Per questo la sera, le donne gratteresi, sono solite raccomandarsi a Dio, ai Santi, alla Madonna.
Dalle varie interviste, ho potuto constatare che, diverse sono le orazioni della sera: da quelle recitate durante la chiusura del portone di casa, agli atti di affidamento a Gesù e ai Santi, alle giaculatorie di carattere magico-religioso come suggerisce la signora Lucia Cirincione: con particolari formule, s’invocava Dio affinché incatenasse o legasse il nemico; si recitava questa giaculatoria:
“Tri stizzi di sangu e Gesù in agonia, tri fila di capiddi di Maria, ‘ncatinati e liati a ccu vo mali a mia”.
Vi erano anche i corrispondenti sciogl’incantesimo:
“Tri stizzi di sangu e Gesù in agonia tri fila di capiddi di Maria, scatinati e sdilliati a ccu vo mali a mia”.
Alcune anziane donne sapevano recitare delle orazioni particolari per essere rassicurate in punto di morte. La signora Lucia Cirincione di anni 83 dice di affidarsi a Santa Brigida: “iò mi dicu a preghiera di Santa Prizita”, recitando per 40 giorni consecutivi l’atto di affidamento a Santa Brigida. Si crede infatti che la Santa dell’ultima ora, venga a visitare e appaia in visione al moribondo tre giorni prima della morte per portargli conforto: “chisti parti cu li sapi diri ppi quaranta jorna ‘un l’avi a lintàri e quannu è ura di lu tò murìri, Prizita Santa ti veni a visitàri”. Per ottenere tale privilegio concesso dalla Santa ai suoi devoti, questo ciclo di quaranta giorni consecutivi non deve essere interrotto.
Oltre a tali credenze ve ne erano altre legate al tema della morte e al ciclo delle anime. Una credenza popolare vuole che: se una persona muore di venerdì, si porta con sé altre sette anime, oppure, se la casa del defunto fa angolo con un’altra, “cantuniera”, se ne porta con sé altre quindici; se la sera si sente verseggiare una civetta, “criviedda o malacucca”, volatile di cattivo augurio, entro tre giorni accadrà un evento luttuoso. Tutto, quindi, era legato al ripetersi degli eventi, o alla ciclicità degli avvenimenti.
A tal proposito, ricordo una preghiera particolare insegnatami da mio nonno, Giacomo Lanza, da recitare ai defunti ogni qual volta si passi dal cimitero:
“O Brava genti ca di cca passati e ca ‘un pinsati pi l’armuzza mia, un jornu sariti cuomu mia”.
Aggiungendo per tre volte l’Eterno riposo nella versione dialettale:
“Riposu eternu datici Signuri la luci piati in tutti l’uri”.
Santa Barbara e San Giluormu: ora pro nobis
Nel giorno di Santa Barbara Martire, il 4 di dicembre, mia nonna, Nina Cirincione, mi raccontava che, alcune donne solevano recitare alla Santa delle particolari e suggestive preghiere contro le intemperie; lei stessa conosceva delle orazioni particolari per tenere lontani i fulmini, i temporali burrascosi e scongiurare le forze del male: “le 12 parole della verità”.
Infatti, vuole la tradizione, che la Martire, viene invocata come protettrice dai fulmini, dal fuoco e dalla morte improvvisa. La leggenda riporta che Barbara fosse stata decapitata dal padre Dioscoro, che eseguì personalmente la sentenza. Subito dopo l’uccisione, un fulmine discese dal cielo e carbonizzò il crudele padre (www.santiebeati.it).
La Santa quindi, nell’immaginario del fedele, rappresenta la capacità di affrontare il pericolo con fede, coraggio e serenità, anche quando non c’è alcuna via di scampo. A proposito di peculiari invocazioni, giaculatorie e litanie, esse, durante il corso dell’anno, erano molto ricorrenti, in particolar modo durante i periodi avversi e le difficoltà causate dalle intemperie.
Le donne gratteresi, infatti, nei giorni di cattivo tempo, iniziavano a salmodiare interminabili litanie; suggestiva è la preghiera de “Lu Verbu”, una sorta di testamento spirituale da tramandare, e conosciuto in diverse varianti locali, testimonianza della semplice religiosità delle donne di affidarsi a Dio per essere assistite e difese. Tra i Santi rammentati per tenere lontane le calamità naturali, vi erano in particolar modo i nomi di Barbara e Girolamo.
Orazioni per far calmare le intemperie
Truonu truonu vattinni a rasu
supra li casi di Santu Fasu,
Santu Fasu e San Simuni
portanu ‘ncuoddu lu nostru Signuri
e la cruna vermi sia
porta ‘ncuoddu la Vergini Maria,
gavutu quantu è gavutu lu truonu di Maria
tantu è rasu lu truonu e lu lampu di mia.
Santa Barbara e San Giluormu ora pro nobis.
Lu Signuri di ‘ncielu scinniu,
cu nna stuola ‘ncruciata
nna cannila d’oru addumata,
Maria avanti ddi Cristu sinn’ju
e priava ppi nui e ppi tutta la cristianitati.
(si ripete per 9 volte graduando i numeri)
Le dodici parole della verità (preghiera per vento e tempesta)
Cu è l’unu?
Un solu Diu chi regna in eternità.
Cu sù li dui?
Li du tavuli chi purtò Mosè supra lu munti di Sinèi
Cu sù li tri?
Li tri profeti di lu munnu: Abbramu, Ggiacumu e Ggiacobbi
Cu sù li quattru?
Li quattru evangelisti di Diu: Luca, Giuvanni, Marcu e Matteu.
Cu su li cincu?
Li cincu chiai di nostru Signuri Gesù Cristu chi n’aiuta pi la via.
Cu sù li sei?
Li sei galli chi cantunu cu alleria.
Cu sù li setti?
Li setti piccati murtala.
Cu sù li ottu?
Li ottu sù l’armuzzi giusti.
Cu sù li novi?
Li novi cori di l’ancili.
Cu sù li dieci?
Li dieci cumannamenti di Diu.
Cu sù li unnici?
Li unnicimilia Vergini.
Cu sù li dudici?
Li duduci articuli di Diu.
Tridici raggi di lu suli
Tridici raggi di la luna
scatta lu Dimoniu ccu tutti li cumpagnuna!
(Maria Antonina Cirincione, classe 1913, intervista 2006)
Preghiera per far dissolvere i manicati (vortici di vento o nebbia)
Quantu è granni lu mantu di Maria,
arriparati a mia ccu tutta la me cumpagnia.
Quantu è longa la cruna di Maria
tantu s’allarga lu truonu e lu lampu di mia
e di tutti li cristiani di lu munnu.
In nomu di Diu e di Maria
tagliti manica luntanu di mia.
(Giuseppa Lanza, classe 1922, intervista 2007)
Lu Verbu
Lu Verbu sacciu e lu Verbu a diri,
lu Verbu chi criò nostru Signuri
quannu supra un trunu di cruci
ju a murìri ppi nuatri miseri e piccatura.
O piccaturi, o piccatrici
riguarda quantu è gàuta ‘sta cruci;
quantu è gàuta e quant’ è bedda
chi stienni un vrazzu ‘ncielu e nautru ‘ntierra.
A la valli a la valli di Giosefà
picciuli e granni,amu a essiri ddà,
trentatrì anni ci staremu,
cuomu la foglia tremeremu,
San Giuvanni calirà c’un libru ‘nmanu e liggirà:
“Patri Signuri cuomu pirdunastuvu li cani judei accussì aviti a pirdunari l’amici mei”.
“Giuvanni nun li pozzu pirdunari
travagliunu pi li festi principali,
la Matri Santa mi faceva ‘nzinga,
lu Verbu c’‘un lu sapi si lu ‘nsigna.
Cu lu dici tri voti a lu jornu ‘un avi paura di peni e d’Infernu
Cu lu dici tri voti a la notti ‘un avi paura di la mala morti
Cu lu dici tri voti a la via ‘un avi paura di la morti ria
Cu lu dici tri voti o capizzu ‘un avi paura di trimulizzu
Cu lu dici tri voti ogni tantu ‘un avi paura di truonu e lampu
Cu lu sienti e nun lu cumprienni sietti virgati di focu eternu
Cu nun lu sapi si lu nsignirà ca peni d’infernu nun li patirà
Cu lu sapi e nun lu dici setti finati di fuocu e di pici.
(Giacomina Gussio e Rosa Chichi, intervista 2007)
Lu Verbu
Lu Verbu sacciu e lu Verbu vuogliu diri,
lu Verbu chi lassò nostru Signuri
quannu la cruci pi nui muriri
pi nuatri miserabili piccatura.
O piccaturi, o piccatrici
riguarda chi gàuta e bedda
chi duna un ‘vrazzu ‘ncielu e nautru ‘ntierra.
Chi bedda Mà chi bedda verrà
tutti quanti n’aunciemu ddà,
picciuli, giusti, ranni e piccaturi
e quannu l’armiciedda tremerà cchiù chi fogli di campìa
San Giuvanni a lu cantu ci stacìa
cun librettu ‘nmanu chi leva lu Signuri,
lu Santu Sarvaturi
li morti n’hannu a finìri ca lu ‘nimicu ‘n’havi a sintìri,
la Matri Santa rispunni e dici
cu sapi lu Verbu cci lu dici.
Cu lu sapi di ccà e di ddà setti pricàti fuocu avrà
Cu ‘un lu sapi e nun si lu ‘nsigna setti pricàti fuocu ‘ntra lingua
Né uccisi mancu ‘mpisi mancu uomini esteri affisi
aiutati cuomu a chiddi Patri Santi chi foru milli e tanti
e Vui donna Signuri aviti
facitini ‘sta santa caritati.
(Carmela Ventimiglia, intervista 2007)
Marco Fragale
(Università di Palermo)
Bibliografia:
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FRAGALE MARCO, Il ciclo dell’anno a Gratteri. Aspetti devozionali e significato antropologico – Tesi di laurea in Lettere Moderne, a.a. 2006/2007
GANCI BATTAGLIA GIUSEPPE, Streghe, stregoni e stregonerie di Sicilia, Organizz. Ed. David Malato, Palermo, 1972
GUASTELLA AMABILE SERAFINO, Canti popolari del circondario di Modica, Lutri e Secagno figli, Modica, 1876
GUGGINO ELSA, Fate, sibille e altre strane donne, Sellerio, Palermo 2006.
HENNINGESEN G., Le donne di fuori: Un modello arcaico del sabba, in Archivio Antropologico Mediterraneo, anno I, 1998.
MANNELLA PIER LUIGI JOSE’, Trizzi di donna, tra etnopatia e virtù, in Etnografie del contemporaneo ANNO 1 n. 2, 2019 – Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari – Museo internazionale delle marionette “A. Pasqualino”, Palermo.
SALOMONE MARINO SALVATORE, Spigolature storiche siciliane dal sec. XV al sec. XIX, in “Nuove Effemeridi Siciliane” III, XII, pp. 302-311
PITRE’ GIUSEPPE, Costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Vol. 4, Palermo 1889
PITRE’ GIUSEPPE, Medicina popolare siciliana, Clausen, Torino-Palermo, 1896